Antonio Troise
Genova, Italia. Il tragico disastro dell’alluvione che ha messo in ginocchio un’intera città è anche la conseguenza delle opere pubbliche annunciate ma mai realizzate, delle infrastrutture contro il dissesto del territorio bloccate dai cavilli della mala-burocrazia, delle promesse sulla messa in sicurezza dei torrenti mai mantenute. L’alluvione genovese, insomma, è il simbolo, drammatico, di un Paese che rischia anch’esso di affogare, travolto da un’altra crisi, quella economica. Come è possibile, ci si chiede, che un’opera di fondamentale importanza per la salvaguardia della città resti ferma per vent’anni senza che nessuno se ne occupi per sbloccarla. E come è possibile che, dopo appena tre anni, si ripeta lo stesso dramma senza che nel frattempo nessuno si sia preso la briga di porre qualche rimedio.
Ma quello che succede a Genova è la copia, plastica, di ciò che avviene, ed è avvenuto, sul fronte dei conti pubblici e dell’economia. L’Italia è un paese che da vent’anni ha smesso di crescere e che ora, alle prese con la recessione più lunga e più grave dal dopoguerra, risulta essere il fanalino di coda in Europa sul fronte dello sviluppo. Anche in questo caso non sono mancate, negli anni, le promesse e gli impegni. La parola magica delle riforme è stata sempre evocata ma mai concretamente realizzata. Con la conseguenza che, ciclicamente, ricompaiono sul tappeto gli stessi argomenti (leggi articolo 18). Più o meno quello che è successo a Genova, per le opere di consolidamento idrico mai portate a termine.
Bene fa il premier, Matteo Renzi, a ostentare ottimismo: un Paese che non crede a se stesso e nel proprio futuro è destinato a morire. E sono sicuramente meritevoli di attenzione le proposte che il presidente del Consiglio ha fatto in vista della prossima legge di stabilità. Sono temi importanti, riforme essenziali, da quelle del lavoro al fisco, dal Tfr al bonus degli 80 euro, dallo sblocco delle grandi opere pubbliche al piano contro il dissesto idrogeologico. Tutto bene a condizione però che, rispetto al passato, questa volta si passi dalle parole ai fatti, dagli interventi programmati sulla carta ai cantieri effettivamente aperti. Un percorso che, in Italia, è più che accidentato: si è trasformato, negli anni, in una sorta di corsa ad ostacoli piena di trappole. Ma con un Paese che, giorno dopo giorno, rischia di trovarsi di nuovo nel vortice della crisi finanziaria e un’economia che continua a perdere colpi c’è poco da fare: o si cambia passo o si rischia di affogare. Così come è successo a Genova. Con una variante significativa: in questo caso non si potrà neanche invocare, a parziale giustificazione, l’imprevedibilità degli eventi atmosferici.
fonte: l’Arena