di Alessandro Corti
Il richiamo non è giunto per niente inaspettato. E’ da anni che Bruxelles bacchetta l’Italia per il modo in cui (non) spende i fondi Europei. Una montagna di denaro che o è stata utilizzata male (alimentando sprechi e clientele) o è stata impiegata senza una strategia precisa. In Spagna, con le risorse messe a disposizione dall’Unione europea hanno realizzato i più importanti collegamenti autostradale e completato infrastrutture importanti per lo sviluppo. Da noi i soldi si sono dispersi in centiana di migliaia di microprogetti finendo per realizzare aiuole o fontane senza acqua perchè nel frattempo nessuno aveva pensato a realizzare un acquedotto. Negli ultimi mesi, per la verità, qualcosa si è mosso.
In uno degli ultimi Cipe prima della pausa estiva, sono stati definanziati centinaia di progetti che erano rimasti solo sulla carta, con il rischio concreto di dover restituire a Bruxelles i fondi non spesi. Soldi che sono stati dirottati sul piano per le scuole. Nel gergo tecnico si chiama “riprogrammazione” e il piano continuerà nei prossimi mesi. Ma ora, l’attenzione, è tutta concentrata sul nuovo comunitario di sotegno che vale, per l’appunto, 40 miliardi di euro. Nelle prossime settimane dovrebbe diventare operativa l’Agenzia voluta dal governo Letta ma realizzata da Renzi che dovrebbe dare un mano alle regioni e ai ministeri per spendere finalmente bene l’ingente mole di risorse a disposizione. La nuova struttura non solo avrà la possibilità di progettare le opere ma potrà sostituirsi alle amministrazioni in caso di ritardi o inadempienze. E’ sicuramente un primo passo. Del resto Renzi sa bene che il capitolo dei fondi europei rappresenta un tassello fondamentale della sua strategia economica. Nei colloqui riservati con Draghi e in quelli ufficiali con Napolitano, il premier ha dato sicuramente larghe assicurazioni sul cantiere delle riforme e, soprattutto, sulle misure che saranno inserite nella prossima legge di stabilità.
Ma il vero problema è il rapporto fra il debito pubblico e il Pil che rischia, da un momento all’altro, di far precipitare la situazione del Bel Paese. Per correggere il trend ci sono solo due strade. Privatizzare e vendere i gioielli di famiglia al più presto per fare cassa e, nello stesso tempo, spingere sull’acceleratore della crescita. Per questo sprecare la dote di 40 miliardi che l’Ue mette a disposizione è una sorta di doppio peccato. Non solo, infatti, rappresenta uno spreco incredibile in tempi di vacche magrissime per i nostri conti ma potrebbe rappresentare l’ultima occasione per cercare di rimettere in moto la macchina economica con una dose massiccia di investimenti pubblici. Ma c’è di più: quei fondi sono, in gran parte, nostri, pagati con le nostre tasse, dal momento che il saldo fra quello che noi versiamo ogni anno a Bruxelles e quello che riceviamo continua ad essere negativo. COme a dire: se non si spendono bene quei fondi non è solo un danno ma anche una beffa.