Gerardo Granito
La morte di un padre nobile della Repubblica dovrebbe, a distanza di quarant’anni, suscitare quel rispetto che i media hanno, per evidenti ragioni di audience, accuratamente evitato intervistando gli assassini dell’onorevole Aldo Moro che, con consumata predisposizione alla recitazione, si confrontavano con le autorevoli firme del nostro giornalismo di punta con una serafica tranquillità d’animo, degna dei più rodati attori da palcoscenico.
Per niente imbarazzati a descrivere con dovizia di particolari l’agghiacciante delitto hanno, per riflesso condizionato, provocato altro che non rabbia, ira e furore in tutti noi.
“Se ne ammirava” , in particolare, la compostezza del loro resoconto, ben supportata dalla disinvoltura sociale del loro velocissimo reinserimento nella comunità che, a distanza di quarant’anni, non ha ancora dimenticato il trauma umano, ancor prima, e, poi, politico della scomparsa dello statista.
Sanno bene quei ” miseri ” attori che la verità non è solo quella che, con disinvolta flemma, hanno raccontato all’ altrettanto “misero” giornalista.
Le altre verità sono ben secretate nelle segrete stanze di coloro che, in quegli anni, sostenevano quella o quell’altra cortina di ferro dell’ est come dell’ ovest.
Che siano stati i vari moretti, gallinari, faranda abilmente orchestrati e diretti da un abile direttore a quella distorta sinfonia?
Potrebbe anche essere?!?!
Altrimenti come spiegare ai nostri giovani figli lo striminzito rapporto temporale dei “miseri” assassini con gli anni di pena scontati?