di Antonio Troise
Non sarà certo un decimale a condizionare il destino dell’Italia o quello dei tanti giovani disoccupati bruciati dalla recessione più lunga e più dura che l’Occidente ricordi. E’ vero che oggi tutti i riflettori saranno puntati sulle stime del Pil diffuse dall’Istat. Ma la situazione è decisamente diversa rispetto a quella di tre anni fa quando, proprio in questi giorni, il governo Berlusconi si vide recapitare la famosa lettera di richiamo firmata dalla Bce. Allora si aggirava lo spettro del default. Oggi, al massimo scopriremo che, dopo un timido segno più, la nostra economia continua a essere in bilico fra la stagnazione e la recessione. Insomma, nulla di nuovo se non che la ripresa è ancora abbastanza lontana.
Ma il problema non è solo italiano. La mancata crescita rischia di far traballare tutta l’architettura politico-economica del vecchio continente e rappresenta uno dei problemi principali che il nuovo esecutivo comunitario dovrà affrontare una volta insediato. Le vecchie ricette fatte, esclusivamente, di rigore, non hanno certo contribuito a portare l’Europa sul sentiero della ripresa.
I dati sul Pil saranno considerati con molta attenzione soprattutto in via Venti Settembre, dove si farà di tutto per scongiurare l’ipotesi di una manovra-bis. La prudenza è d’obbligo, anche se il ministro Padoan ha due carte da giocare per evitare un intervento correttivo già nel 2014. In primo luogo la possibilità di portare dal 2,6 fino a ridosso del 3% il rapporto deficit-Pil. Secondo, il calo dello spread, che ha comportato una minore spesa per interessi nell’ordine di 2,5 miliardi.
La partita vera dei conti pubblici sarà tutta giocata nella prossima legge di stabilità, da varare entro ottobre. Sarà quello il documento-chiave per dimostrare all’Europa che l’Italia non solo intende continuare a fare i compiti a casa ma che vuole dare il massimo per coniugare rigore e sviluppo. Per centrare questo obiettivo non c’è che una strada: dimostrare che sul terreno delle riforme il governo vuole marciare spedito e senza guardare in faccia nessuno. E’ questa la premessa indispensabile per ottenere quei margini di flessibilità che Bruxelles potrebbe concedere per far uscire i Paesi più deboli dalle secche della stagnazione. Non sarà un decimale dell’Istat a riportarci nel baratro. Ma con un debito che ha raggiunto la cifra monstre del 132% del Pil c’è poco da scherzare: il capitale che non possiamo permetterci di gettare al vento è quello della credibilità.
Fonte: L’Arena