di Alessandro Corti
Diciamo subito che la proclamazione dello sciopero è solo una provocazione. Carabinieri, Polizia, Vigili del Fuoco e militari assicurano un presidio e un servizio essenziale che non può essere interrotto. Le norme, al riguardo, sono chiarissime e sono note anche ai sindacati. Perché, allora, un annuncio così clamoroso? Non sarebbe stato meglio tessere, pazientemente, le fila del dialogo con il governo? E, infine, siamo proprio sicuri che nel momento nel quale tutti sono chiamati a fare sacrifici, l’opinione pubblica sia disposta a concedere deroghe, anche a favore di settori che, obiettivamente, svolgono compiti delicati e pericolosi? Andiamo con ordine. Prima di tutto, è bene precisare che le rivendicazioni dei sindacati di categoria sono sacrosante e sicuramente condivisibili. Dopo quattro anni di blocco e l’introduzione di un tetto agli stipendi (che, di fatto, ha congelato anche gli scatti di anzianità), la pazienza ha superato ogni limite. E’ vero che il blocco degli aumenti agli statali consente ogni anno, allo Stato, di risparmiare fra i 2 e i 3 miliardi di euro. Ma è anche vero che sono risorse sottratte al ciclo dell’economia e, quindi, ai consumi. Come a dire: un ulteriore freno alla crescita e alla ripresa.
Se le ragioni sono condivisibili, non è sicuramente convincente il metodo, adottato, per imporle al governo o per farle, semplicemente, conoscere. Secondo i sondaggi più accreditati, le forze dell’ordine sono in cima alla classifica della fiducia degli italiani. Sono piazzate prima di ogni altra istituzione, Bankitalia compresa. Una fede, per così dire, incondizionata. Per questo forme alternative di protesta, magari meno clamorose ma non meno efficaci mediatamente, sarebbero state opportune e praticabili. L’idea dello sciopero, invece, finisce per assimilare le rivendicazioni di un poliziotto che rischia la vita per poco più di 1200 euro al mese con quelle di altre categorie che, giustamente, rivendicano aumenti dopo sei anni di recessione pur non svolgendo lavori altrettanto delicati.
C’è, poi, un ulteriore ragionamento da fare. E’ vero che gli statali dal 2010 non vedono aumenti di stipendio. Ma è anche vero che, rispetto ad altre categorie del privato, non hanno mai rischiato di perdere il lavoro o di finire in cassa integrazione. In Italia non c’è stata la cura imposta alla Grecia per evitare il default e, tutto sommato, il grande universo dei lavoratori pubblici ha potuto vivere la recessione senza l’incubo (molto reale per la stragrande maggioranza dei cittadini) della disoccupazione. Troppo poco per accontentarsi e, magari, tacere? Forse sì. Forse hanno ragione le forze dell’ordine ad alzare la voce dopo tanti anni di stipendi bloccati e tetti ingiusti. Ma, forse, sarebbe stato meglio evitare polveroni mediatici che, una volta depositati, lasciano solo brutti ricordi e spesso non portano a nulla.
fonte: l’Arena