È scattato stanotte il blitz della Squadra Mobile di Napoli che ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Napoli su richiesta della Dda, nei confronti di 14 indagati, per i reati di associazione di stampo mafioso, tentato omicidio, traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e porto di arma comune da sparo. Le attività di indagine, consistite in intercettazioni telefoniche e ambientali, e riscontrate anche attraverso le dichiarazioni di recenti collaboratori di giustizia, hanno consentito di accertare l’esistenza di un’organizzazione camorristica facente capo ai fratelli De Micco, in passato legati al clan Cuccaro di Barra, operativa nel quartiere di Ponticelli, già feudo indiscusso del clan Sarno, dedita al controllo del territorio ed alla gestione delle conseguenti attività illecite, con particolare riferimento al traffico di sostanze stupefacenti. L’ascesa del clan De Micco è testimoniata anche da numerose ordinanze cautelari emesse negli ultimi mesi nei confronti di esponenti dell’organizzazione per reati di estorsione, sequestro di persona a scopo di estorsione e per fatti di sangue legati all’acceso contrasto sul territorio con il clan D’Amico.
I rapporti conflittuali tra i due clan, che si contendono da mesi il controllo del territorio di Ponticelli sono stati segnati, infatti, da frequenti sparatorie effettuate, in alcuni casi, a titolo dimostrativo, in altri casi, allo scopo di procedere all’eliminazione fisica degli avversari, com’è accaduto per il duplice omicidio, avvenuto nel mese di gennaio 2013, di Minichini Antonio e Gennaro Castaldi (appena diciottenni), entrambi appartenenti al clan D’Amico, nonché per l’omicidio di Malapena Alessandro, affiliato al clan De Micca, verificatosi nel mese di marzo 2013, per il quale vennero arrestati D’Amico Giuseppe, Lauria Gaetano e Pavarolo Giovanni.
Va messo in rilievo che, nel corso di una recente perquisizione, è stato rinvenuto una sorta di “libro maestro” del clan, riportante, tra l’altro, una partizione delle quote periodiche dei profitti derivanti dalle attività illecite, nonché le “mesate ” da versare agli affiliati e le “spese” sostenute per i beni strumentali a sostegno dell’organizzazione, come armamenti e costo degli avvocati. L’adesione incondizionata al clan De Micco da parte degli affiliati è testimoniata, inoltre, dal fatto che si è accertato che alcuni degli indagati hanno deciso di tatuare sul proprio corpo il simbolo “Bodo “, che è l’appellativo con il quale si suole indicare lo stesso clan, accompagnato dalla scritta “rispetto, fedeltà e onore”.