Continua la riflessione su sviluppo e resilienza. Intervista con Osvaldo Cammarota

Senza denari messe non se ne cantano. E’ persino banale rammentarlo. E ci siamo quasi rassegnati all’idea che, coi tempi che corrono, messe ne sentiremo molto poche quest’anno, dopo due anni di pandemia e un mese e mezzo di guerra alle porte dell’Europa. “È facile prevedere che gli effetti della guerra assorbiranno gran parte delle risorse stanziate per reagire alla crisi economica e sociale aggravata dalla pandemia. È l’esito inevitabile della combinazione di due disastri”. Parla Osvaldo Cammarota, teorico ed operatore di sviluppo dal basso, una professione a cavallo tra economia e studi sociali, che continua il ciclo di conferenze al Circolo Ilva di Bagnoli (l’8 aprile il secondo appuntamento in presenza) dedicato alla coesione sociale come fattore di sviluppo.

Il conflitto russo-ucraino lascia pochi dubbi sulle ricadute critiche che le sanzioni contro Mosca avranno sull’economia italiana e meridionale. Ma prima ancora rischia di minare il percorso del Next Generation Eu, su cui contava anzitutto l’Italia, Paese colpito per primo e di più dal Covid. Ora, che ne sarà del PNRR su cui tanto confidavamo?

La situazione che si è determinata a Est dell’Europa dovrebbeindurre secondo me anzitutto a ragionare sull’interrogativo seguente: oltre il denaro, cosa serve per generare resilienza e sviluppo?

Da trent’anni l’Unione Europea -principale fonte finanziaria per investimenti pubblici. Ma io sono fermamente convinto che occorra rafforzare il nesso tra coesione e sviluppo. Anche se questo messaggio sembra incompreso. Prevalgono ancora tendenze a finanziare la crescita senza sviluppo che abbiamo conosciuto nel Novecento.

Secolo in cui forse (e non sempre), soprattutto nella fase del boom economico, con i soldi si riusciva a mitigare i conflitti tra parti sociali, che erano nettamente identificabili. Ma oggi?

Quel modello non ha retto nel breve, a distanza di ​trenta o quarant’anni tanto più risulterebbe inefficace. Oggi non basterebbero soldi per corrispondere ai bisogni diffusi che emergono da una società densa e complessa come quella attuale. E infatti non bastano. Anzi, troppo spesso si tagliano i fondi proprio a quei beni collettivi che sono fattori di coesione.

A quali beni si riferisce?

A sanità, mobilità, accesso ai saperi. La distribuzione a pioggiadelle risorse alimenta i “conflitti di accaparramento” nella società liquidaproducendo ulteriori frantumazioni e frammentazioni. L’esatto opposto della coesione.

Come si costruisce invece la coesione? 

Lo si fa accompagnando il componimento dei conflitti. Farequesto servirebbe anche a prevenire le guerre. In campo sociale ed economico la coesione è quel bene immateriale che serve a non sprecare risorse: nelle famiglie, nelle imprese, nei condomini, nelle comunità, nei territori alle diverse dimensioni, dai microcosmi locali alla scala globale.

Si potrebbe osservare che queste sono riflessioni astratte, non crede?

Per farle atterrare nel concreto contesto in cui viviamo e lavoriamo, abbiamo pensato di verificarle prendendo spunto dal libro di Pietro Massimo Busetta, “Il lupo e l’agnello”, che offre dati e chiavi di lettura sul mantra del Mezzogiorno assistito.

La parte del Paese che da sempre fa fatica a trovare efficaci strategie per il proprio sviluppo…

Sì, è vero. Ed è curioso, ma non senza significato, che ne discuteremo in un luogo emblematico, ciè Bagnoli. Dove la mancanza del bene della coesione è causa di uno spreco di risorse paesaggistiche, ambientali, produttive, sociali, umane. E anche finanziarie. Risorse he, diversamente raccolte, accompagnate e utilizzate, potrebbero contribuire alla ri-generazione attesa proprio nei trent’anni in cui sono state ignorate le culture comunitarie di coesione e sviluppo. La sede che ospita la discussione è ancor piùsignificativa. 

Più volte lei ha ribadito che nel Circolo Ilva Bagnoli è possibile ritrovare i sedimenti della cultura del lavoro e della solidarietà sociale. Che influsso possono avere sul concetto di resilienza o di coesione?

In questo luogo il pensiero e l’azione della comunità operosa si intreccia con le risorse della “comunità di cura”. Qui si fondono e come in un altoforno prendono la forza dell’acciaio. Senza alcuna nostalgia per il passato: queste sono le tracce da seguire per superare conflitti che si profilano sempre più dirompenti nel tempo che viene.

Quindi la coesione sociale non è un argomento buono solo per utilizzo retorico?

No, affatto. La sua valenza è ormai acclarata, anche scientificamente. È tempo che si navighi con coerenza verso questo orizzonte.

Di Redazione

Claudio D'Aquino, napoletano, giornalista e comunicatore di impresa