E’ vero che la pandemia ad oggi ha provocato la morte di quasi 3 milioni di persone, centosedicimila in Italia. Ma c’è da considerare anche cosa disse il filosofo greco Tucidide con l’aforisma che gli esteso attribuito: “Atene morì per la paura della peste, non per la peste”.Frase che più può esprimere talune difficoltà dei giorni nostri. E che di certo riferisce di come, a distanza di oltre un anno, nelle nostre case, se non il virus, sicuramente si è installato il terrore del virus, non meno difficile da estirpare.
Ieri la peste, oggi il covid-19. La causa è cambiata, insomma, ma la paura è la medesima. Il mutamento repentino delle abitudini interpersonali, parentali e intime che si è verificato in un anno e un mese di restrizioni da lockdown, tuttavia non ha eguali nella storia dell’umanità per la velocità con la quale il mondo si è dovuto adattare e per le metodologie alle quali è dovuto ricorrere, in primis i molti diritti fondamentali negati per “cause di forza maggiore”.Un fenomeno che il presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia Claudio Mencacci ha commentato così: “… una lenta ma progressiva lacerazione, che ha fortemente affievolito – spiega – i rapporti umani con la promozione negativa di isolamento, individualismo e scollamento tra persone…”. Con l’aggravante di non voler sentir proprio il senso di comunitarismo a cui l’umanità si è sempre affidata nei momenti peggiori della sua storia.
A farne le spese sono i giovani e i giovanissimi. Sono loro che da più di un anno sono costretti a casa dalla Dad. Sì, proprio i giovani che, quasi ogni giorno, sono nel mirino dei media perché incapaci di starsene a casa. Quindi, trattati quasi da untori. Giuseppe Natalini, direttore della Terapia Intensiva della Poliambulanza di Brescia, non la pensa così e lo dice chiaro lanciando l’allarme dalle colonne dell’Espresso che ha dedicato una copertina, di recente, alla pandemia dei giovani. “Fa un po’ sorridere – sostiene – che la colpa della pandemia sia degli adolescenti. è un Paese che ha bisogno di cercare un colpevole e punta il dito”. Leonardo Sacrato è componente dell’Unità operativa di neuropsichiatria infantile e Centro regionale per i disturbi del comportamento alimentare dell’Ospedale Sant’Orsola – Malpighi di Bologna.Suo il convincimento che i giovani sono quelli che soffrono di più, perché non riescono più ad usare la loro risorsa migliore, vale a dire la fantasia. Il loro pensiero è bloccato sull’interrogativo:Quando finirà? Sacrato nota che oggi già dai 9 o 10 anni si riscontrano problemi di disturbi comportamentali con gli alimenti e che le ragazzine di 13, 14 anni smettono di parlare ai loro genitori, spesso ignari o incapaci di prestare la giusta attenzione. In molti casi di autolesionismo, presentano tagli sui polsi. Nell’hinterland milanese, secondo il già citato numero dell’Espresso, si parla di un tentato suicidio al giorno, di aumento del tasso di violenza e – appunto – dell’autolesionismo. Anche Stefano Vicari, direttore della neuropsichiatria infantile al Bambino Gesù di Roma,ha notato questo picco di casi e ha rivelato di starsi prendendo cura di una pre-adolescente che ha tentato di ingerire qualsiasi pillola farmacologica presente in casa per tentare un suicidio. Circostanze in cui si manifesta un’anoressia precoce sono, ormai, tristemente comuni.
Di parere non diverso è Massimo Doriani, psicologo napoletano presidente della Accademia Imago e fondatore dello sportello SIAMI VICINI No Panic, un servizio attivo fin dai primi giorni del lockdown 2020. Nato ad opera di una quarantina di colleghi, terapeuti dell’ISIDAP di Napoli, l’istituto specializzato nel trattamento degli attacchi di panico. “La regola ormai è l’esasperazione – afferma – perché diversi casi i ragazzi fanno esplicito riferimento alla volontà di arrivare a gesti estremi. L’energia dei ragazzi, immobilizzata da troppo tempo, prorompe. E il prolungato arresto del quotidiano, non determina in loro solo un generico disagio ma soprattutto un vero è proprio blocco della crescita”. Con il lockdown prolungato, insomma, si azzera il rapporto con il gruppo dei pari, che è poi lo spazio in cui si esercita la costruzione dell’identità di sé. “Se i giovani non hanno occasione di sperimentarsi per tanti mesi – spiega – la crescita psichica subisce un blocco. Nel frattempo quella fisica va avanti”. E così può accadere, ad esempio, che un quattordicenne si ritrova a sedici anni dinanzi al compito di ricoprire nuovi ruoli, ma senza averli sperimentati nel tempo trascorso. Con l’aggravante che vivere al chiuso del recinto domestico viene giustificato razionalmente con la necessità di difendere i familiari dalla malattia. L’esito è quasi scontato. “Una quantità enorme di ragazzi – conclude Doriani – mostra attacchi di panico, difficoltà ad uscire di casa, tendenze depressive e anche pensieri di suicidio. Ed è per questo che stiamo facendo il possibile per estendere alle 24 ore su 24 il servizio SIAMO VICINI No Panic”.
Mario Vittorio D’Aquino