Caro direttore,
le devo anzitutto un sentito grazie per le volte (ormai numerose) che ha ospitato sul suo giornale notizie riguardanti il mio percorso professionale. Una carriera da fotomodella e attrice, con fasi positive e moneti critici, scatti in avanti e stand by, alti e bassi. Ho 31 anni e ne ho viste di tutte. Ma non mi era mai capitato nel rapporto tra il mio lavoro e il giornalismo, una vicenda come quella che sto per raccontare.
L’ultimo caso, davvero emblematico (non dite così voi giornalisti?), riguarda il film La Casalese, lavoro che mi ha visto – ed è la prima volta in assoluto – in un ruolo da protagonista. Il suo giornale ne ha parlato, è un film che trae ispirazione da una storia vera, connessa al processo Spartacus. Il film non è ancora uscito nelle sale. Eppure già ha scatenato una tempesta. Una tempesta in un bicchiere d’acqua, direi. Che però ha ferito moltissimo me e l’intera produzione. A cominciare dalla regista, e cioè Antonella D’Agostino.Una donna che non ha mai torto un capello a nessuno, mai fatto male a un moscerino. Ma è l’ex moglie di Renato Valanzasca. E sottolineo “ex”…
La pellicola è prodotta, per una quota minima,dalla Roxyl music art e show. Riconducibile ad Angelo Bardellino.Analogo trattamento: è totalmente incensurato, ma nipote di Antonio Bardellino,morto nel Maggio 1988.
Che c’entrano queste circostanze con il film?
Cosa c’entrano con la fatica di scrivere un copione, mettere su un ambaradan di uomini e risorse facendo quadrare qualità dei professionisti e budget? Che c’entra con il sudore di interpreti, direttori di fotografia, tecnici della luce e del suono, trucco e parrucco, e tutta la giostra che si muove quando si gira un film?
Nulla. Assolutamente nulla. Eppure un manipolo di giornalisti (ma cosa passa in testa ai suoi colleghi quando si siedono alla tastiera del pc?), senza alzare il culo dalla sedia, copiando e incollando con l’aggiunta di un aggettivo, una piccola sfumatura, un termine più o meno sofisticato… E ecco che piovono articoli frutto di una specie di telegrafo senza fili, un passare di mano in mano, copiando e incollando, notizie presunte, o meglio fattoidi. Con una ricaduta pessima sul film e su chi ci ha sudato – e ovviamente su di me che ho interpretato il ruolo principale –, un’ombra torbida, un cupo sospetto, l’olezzo insopportabile della gogna.
Non posso parlare della mia regista, essendo parte in causa. Della sua professionalità e bravura, della sua sensibilissima personalità Ma mi permetta, caro direttore, di ripeterlo:cosa scatta in testa ai suoi colleghi quando rappezzano brani di verità pretendendo che il risultato sia un vestito indossabile, accettabile? Antonella D’Agostino non è più la signora Vallanzasca da anni. E’ legittimo pretendere che, per giudicare un suo lavoro, sia indispensabile (almeno) vederlo?
Non adduco a suo favore – non ha bisogno di difese d’ufficio, tra l’altro –la lunga e intensa attività di artista impegnata sul fronte della solidarietà coi suoi film dedicati a temi sociali (come la donazione di organi), i documentari girati nelle carceri minorili come “Storie di un attimo”, il tanto lavoro di volontariato fatto tra le mura di una casa circondariale. Contesto due cose: 1) che sia trattata alla stregua di una pregiudicata; 2) che la macchina del fango allunghi i suoi schizzi su un film che nessuno ha ancora visto, prima ancora che possa essere visto: a prescindere.
Antonella è la “pregiudicata” che ha sceneggiato il film “Gli angeli del male”, che ha fatto incassi milionari ed è stato presentato a Venezia. Per la gogna mediatica, però, diviene una persona da cui prendere le distanze. E nulla conta che, nel mio film, recitano uomini delle forze dell’ordine “vere”, vere come mio padre che è stato ispettore di polizia (quindi può immaginare quale prova emotiva sia stata per me interpretare questo ruolo). Non conta nulla che alcune scene siano state girate in caserme “vere” con tutte le dovute autorizzazioni…
E poi c’è il produttore, che ha finanziato con una quota minima il lavoro. Forse con lui i suoi colleghi sono stati – se possibile – ancora più feroci. Chi è infatti Angelo Bardellino? E’ un giovane che ha la colpa di essere nato nella famiglia sbagliata? Nemmeno. Non è il figlio di Antonio, ma il nipote. Perché Antonio Bardellino è morto 31 anni fa. Le faccio una domanda, direttore, che forse è una domanda da esame di giornalista. Dopo quanti anni va in prescrizione un reato compiuto non dal nipote, ma dal nonno o dallo zio?
Ma torniamo al film, che narra una storia d’amore di una donna di Casal di Principe(quindi “Casalese”). Non è amore verso il marito (la camorra le fa schifo, quindi il disagio riguarda anzitutto l’uomo che supponeva essere un imprenditore edile) ma nei confronti del proprio figlio.Donna coraggiosa, che punta – anche se con qualche incertezza –a rifarsi una nuova vita in una cittadina del nord. Film girato in alcuni dei posti più belli della Campania, e come ho detto con forze dell’ordine protagoniste, in gran parte in caserme dello Stato. Senza sparare un colpo di pistola. Senza usare il linguaggio della sopraffazione, come accade in altre opere. Senza atteggiamenti che qualcuno – dicono – finisce per imitare. Utilizzato degli attori con fedina penale pulita e non attori borderline finiti agli arresti per duplice omicidio.E’ un film nel quale vince l’amore e il rispetto per lo Stato, a cui la protagonista, volente o nolente, chiede aiuto: non il solito film che sembra una epopea della delinquenza.
Mi spieghi lei, direttore, che conosce i suoi colleghi meglio di me: qual è la sindrome che li coglie, quando siedono a una scrivania, armano la tastiera e sparano?
Con i segni della mia profonda stima,
Noemi Cognigni