Alessandro Corti
Nonostante le premesse, tutte negative, qualcosa pur si è mosso a Taormina, dove si sono riuniti i Sette Grandi della Terra. L’accordo sulla sicurezza, raggiunto subito, e quasi senza discussione, sull’onda lunga dell’emozione per la “strage delle ragazzine” a Manchester, rappresenta un risultato da non sottovalutare. Mettere insieme risorse e intelligence per contrastare l’offensiva terroristica è un buon segnale sul fronte della guerra contro l’Isis. Un modo per dimostrare un Occidente unito e per niente impaurito o scoraggiato dall’escalation del terrore.
Ma, detto questo, sarebbe fortemente sbagliato sopravvalutare i risultati. L’agenda post crisi del pianeta è infatti molto più fitta e articolata. E negli ultimi mesi si è arricchita di nuove e non meno importanti emergenze. L’arrivo di Trump alla Casa Bianca ha, ad esempio, riesumato a sorpresa una parola quasi scomparsa dal lessico occidentale: il protezionismo. Così come la posizione degli Stati Uniti sul clima rischia di far naufragare anni ed anni di faticose trattative e compromessi. Se a questo aggiungiamo le difficoltà, vecchie e nuove, sulle misure da mettere in campo per il controllo dei flussi migratori, il summit di Taormina ha di fronte a sé sfide importanti che richiederebbero risposte coraggiose e di lungo respiro.
Ma forse il problema dei problemi, quello che dovrebbe essere davvero al primo posto dell’agenda di Taormina, e dal quale discendono anche gli altri temi, è l’aumento delle inuguaglianze tra gli stessi Paesi del G7. Dopo otto anni di recessione, gli scenari geopolitici ed economici del mondo sono cambiati radicalmente. Nei Paesi più ricchi la globalizzazione ha finito per esportare ricchezza e importare povertà, alimentando nuove diffidenze e irrobustendo il rischio di risposte demagogiche e populiste. La Brexit è l’esempio più evidente di questo processo. Nei Paesi in via di sviluppo, invece, la crescita economica è stata impetuosa anche se poco equa e scarsamente redistributive. L’effetto è stato comunque quello di un ribaltamento dei precedenti rapporti di forza.
Il vertice di Taormina, invece, passerà alla storia solo come il G7 della sicurezza e della lotta al terrorismo, segnato dal ciclone Trump, che ha abbandonato la riunione senza neanche la tradizionale conferenza stampa. Come del resto ha fatto anche la cancelliera Merkel.
Eppure, ai Grandi della Terra, oggi si chiede molto di più: uno sforzo globale e incisivo in grado di affrontare le vere questioni sul tappeto. Evitando però accuratamente di proporre ricette vecchie o antiche divisioni. O, peggio ancora, chiudersi nel recinto della difesa degli interessi nazionali perdendo di vista gli interessi generali. Solo se i leader troveranno la forza di allargare lo sguardo su tutti i problemi veri del pianeta, anche i prossimi summit non si trasformeranno negli ennesimi flop.