Retroscena sul Masterplan per il Sud. Lo propone Giuseppe Salvaggiulo su La Stampa del 7 maggio scorso. Con il titolo “I dossier che smontano i patti del Sud: per il 70 per cento soldi stanziati da anni”…

La tesi, alle strette, è la seguente.

Renzi coi fondi per il Sud ci fa il gioco delle tre carte: “Emerge – scrive il retroscenista – che per una quota prevalente (tra il 71% e il 75%) si tratta di soldi già stanziati dai governi precedenti, non nuovi”. Insomma, Renzi “ha raccolto quel che già c’è, sia in termini finanziari che di progetti”. E ce lo ripropone come una minestra ribollita. Con l’aggiunta di pane raffermo, perché c’è anche il dubbio che in realtà Renzi scodelli sul tavolo dei Patti del Masterplan i fondi ordinari. Gli stessi che arrivano alla Lombardia “senza bisogno di firmare un patto con Maroni”…

Renzi illusionista? Prestigiatore? Simulatore e baro?
Francamente la tesi non convince. Per due motivi fondamentali.

Primo. Dopo venti anni di silenzio sul Mezzogiorno – e gli ultimi sette che hanno visto le regioni meridionali in caduta verticale di pil e occupazione – stare lì a dividere il grano dal loglio (e cioè i finanziamenti ordinari da quelli europei o straordinari o aggiuntivi…) appare quasi una questione di lana caprina.

Il Sud invece è così da tanto abbandonato a una specie di inarrestabile deriva. Svimez ha parlato di “crescita inferiore a quella della Grecia, di allarme povertà, di sottosviluppo permanente”. E anche di desertificazione demografica. Insomma qui servono soldi. Maledetti e subito e possibilmente non pochi. L’ordine tassativo e agganciare in fretta il treno dello sviluppo. E quindi….

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Quindi Il problema del Sud al momento è spendere oggi quel che si può e si deve senza stare troppo a fare distinguo. Anche perché da svariati anni non facciamo che stigmatizzare il Sud per le risorse non impiegate, non investite e rendicontate, che rischiano di tornare a Bruxelles o di essere dirottate altrove, eccetera, eccetera.
Sia come sia, oggi si sbloccano alcuni miliardi per la Campania e per le altre regioni. Da dove provengono non importa più di tanto. Se si spendono: ecco ciò che fa una certa differenza con il passato recente.

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Ma c’è un’altra osservazione da evidenziare. L’articolo della Stampa è il frutto di una ricostruzione che poggia su un dossier che “è in mano alle Regioni” e alle città metropolitane. Anzi, continuando a leggere si scopre che i mal di pancia hanno due incubatori principali, con nomi e cognomi.

Trattasi di Michele Emiliano e Luigi de Magistris. I quali volgiono legittimamente vendere cara la pelle in una contesa con Renzi che ormai data da mesi. E cercano di trascinarsi dietro altre istituzioni del territorio meridionale. Infatti, la Stampa scrive che “non sono gli unici a mal sopportare, per esempio, che i soldi per il sud siano gestiti a Roma…”.

Ora sarebbe ben facile ricordare che l’uno e l’altro sono parte in causa, con tanto di dente avvelenato. Il sindaco uscente di Napoli lo ha manifestato in maniera piuttosto plateale, a dire il vero. Così avvelenato da far decadere al grado zero le osservazioni che la Stampa riprende, perché sembra evidente che queste non spiccano per terzietà. Hanno infatti molto più il valore di alimentare una sorda (?) polemica che non andare a supporto di una critica obiettiva e spassionata, quale quella che alcuni economisti e osservatori meridionali – Viesti, La Malfa, Giannola, Lo Cicero – vanno ripetendo, con sfumature diverse: al Masterplan manca un’anima, una visione, una logica d’insieme che indichi la strada al Mezzogiorno prossimo venturo.

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Sicché le considerazioni passano a tre. L’ultima riguarda le Regioni in quanto tali. Giorgio La Malfa sul Mattino del 9 maggio, ma in buona compagnia (Massimo Lo Cicero per esempio è sulla stessa linea da tempo), sostiene la tesi secondo cui la progressione dello sviluppo del Mezzogiorno si deve all’azione della Cassa del Mezzogiorno, a partire dal 1952. E si interrompe nel 1973. Guarda caso: l’eutanasia della Casmez (intanto divenuta Agensud) trova proprio nelle Regioni, sorte tre anni prima, il principale indiziato.

Fuor di metafora, la Malfa lo spiega così:

“La crisi dell’intervento straordinario e la crescita di peso delle Regioni, generalmente guidate da classi dirigenti improvvisate, ha portato a una progressiva riduzione degli investimenti ed a una crescita delle spese correnti…”.

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A mo’ di conclusione, che possiamo aggiungere? L’Italia è il Paese in cui di tanto in tanto si pensa d’aver trovato il bandolo della matassa. E invece la soluzione finisce per avvolgerci nelle spire più e peggio di prima. Le Regioni dovevano raccogliere il testimone dell’intervento straordinario trapiantandolo nei territori, con un’azione più diretta. Dovevano portare lo Stato centrale, di origine sabauda, più vicino ai cittadini.

Questo indirizzo è stato rilanciato più di recente dal federalismo. Una cura peggiore della malattia. Se adesso si prova a mettere un po’ di ordine, dall’alto, in questa babele, non possiamo pretendere il posto in prima fila. Perché l’abbonamento, ahinoi, è scaduto.

Di Redazione

Claudio D'Aquino, napoletano, giornalista e comunicatore di impresa

Un pensiero su “CHE SUD CHE FA / LA STAMPA E IL RETROSCENA DEL MASTERPLAN CHE NON PIACE (A Emiliano? A De Magistris? A entrambi?)”

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