L’Europa deve fare di più. Lo dice Matteo Renzi, lo dice la Pinotti, la Boschi e la Serracchiani. E magari anche Matteo Salvini e Roberto Maroni… Ma con quale faccia possiamo pretendere da Bruxelles o da Strasburgo quello che a Milano o Genova non siamo in grado di offrire?
Di federalismo nessuno parla da tempo. Per anni il concetto era ripetuto come un mantra, una solfa del dibattito politico. Spuntò come un fiore nuovo nel guano steso tra Tangentopoli e Seconda Repubblica. E tanto tuonarono Gianfranco Miglio, Pagliarini e Bossi (sembra passato un secolo) che alla fine venne introdotto, un po’ all’italiana (sarebbe a dire all’acqua fresca) nel nostro ordinamento istituzionale.

UNA RIFORMA MALDESTRA
L’intrusione venne chiamata Riforma del titolo V. Per l’Italia fu l’inizio della fine. Da allora, con una accelerazione notevole sui trent’anni precedenti, il processo di sgretolamento della nazione ha raggiunto il parossismo. Non solo ogni Regione è diventata un formidabile centro di spesa, ma soprattutto è divenuta un centro di produzione legislativa slegato dal resto del Paese. Ciascun parlamento locale si leggi a propria immagine e somiglianza. Peggio. Il fatto che la maionese istituzionale italiana sia impazzita lo si rileva dalle recenti elezioni regionali: ogni Regione è andata al voto per conto proprio, con una propria legge, diversa da quella del vicino.
E’ come se qualcuno avesse preso le forbici per tagliare il Paese a pezzettini spargendoli al vento. Ora ricomporre il puzzle è davvero arduo. Si peggiora di giorno in giorno.

UN PAESE MALMESSO
E’ il questo clima che è maturata la decisione di Roberto Maroni di sfidare il governo sul tema immigrazione. La Lombardia è la più grande regione italiana, ed anche quella che, con Veneto e Valle d’Aosta, è tra i vagoni di coda dell’accoglienza. Ma a Maroni non è bastato: ha diffidato i prefetti del suo territorio: non devono accettare nuovi migranti. Quasi fosse ancora ministro dell’Interno. E ancora non gli è bastato. Perché poi ha minacciato i sindaci dei Comuni disposti ad ospitare: vi taglio i viveri, vi tolgo i trasferimenti statali… Risorse che la Regione Lombardia, come ogni altro ente regionale, non gestisce, ma distribuisce (tutt’al più) come in una partita di giro.
Ora viene da chiedersi come possa un Paese così malmesso, ormai sull’orlo dello squasso, mandare il suo premier in Europa a puntare i piedi con Germania e Francia che “non fanno di più, non fanno abbastanza….”. Con quale faccia, con quale credibilità possiamo arrogarci il diritto di dire agli Europei: Siete troppo cinici, troppo indifferenti alla sofferenza altrui?

Di Redazione

Claudio D'Aquino, napoletano, giornalista e comunicatore di impresa