Dal 2008 a oggi l’università ha perso 1 miliardo di finanziamenti e 10 mila ricercatori. «Se li recuperassimo con un piano pluriennale, torneremmo alla situazione precedente già sottodimensionata. Però avremmo giovani ricercatori all’università, in cui ora l’età media è 50 anni». Gaetano Manfredi, presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), fotografa la ricerca italiana in un incontro promosso ieri a Roma dalla Crui e dalla Consulta dei presidenti degli enti di ricerca pubblici.
«Negli ultimi sette anni c’è stato un disinvestimento del 9,9% nell’università», spiega il rettore della Sapienza Eugenio Gaudio: «un dato drammatico, perché si partiva già da un finanziamento più basso rispetto a Paesi europei. L’Italia investe 100 per abitante, la Germania 300. Ma investe 300 nel gioco d’azzardo, mentre la Germania 100. Per il futuro la Germania investe sulla conoscenza, l’Italia sulla sorte». Ricerca e sviluppo pesano solo sull’l,33% del pii, ben al sotto della media europea del 2,03% e lontano dall’obiettivo del 3% fissato dall’Europa per il 2020. Mancano ricercatori. Nel 2015 la loro percentuale ogni 1.000 abitanti era del 4,73% contro una media Ue del 7,40%. Sono mal pagati: all’inizio della carriera la metà dei colleghi degli altri Paesi. Così, fuggono dall’Italia.
«Anche perché, a parità di opportunità, fare ricerca qui è troppo complicato dalla burocrazia», osserva Manfredi. Eppure, l’Italia è nella top 10 mondiale della ricerca. «Per H-Index siamo settimi al mondo per produttività scientifica dopo il Giappone e prima dell’Olanda, che destinano alla ricerca cifre ben più consistenti di quelle italiane».