Rassegniamoci alla guerra del sacchetto ecologico, alla fiera di chi la spara più grossa sul nuovo balzello nel carrello della spesa. Mancano solo i comitati del ”no-bio-shopping” e il gioco è fatto, giusto per cavalcare i trend di Google o quelli dei social. Una valanga di polemiche per un pugno di monete, fra i sette e i dieci euro all’anno a famiglia. Dieci volte in meno rispetto alla stangata (questa sì) di luce e gas annunciata a inizio d’anno. Quasi 80 euro, l’importo del famoso bonus renziano. Dettagli. Difficile, se non impossibile resistere alla tentazione di scendere in campo sulla polemica del giorno, sottrarsi alla “modernità” dello scontro sul caro-sacchetto. Soprattutto ora che soffia forte il vento della campagna elettorale e la guerra si combatte a colpi di post e tweet virali, in grado di fare il giro del “web” e anche a costo di perdere il senso delle proporzioni o smarrire quello della realtà.

Ecco, allora, spuntare la favola della “sportina a rete”, quella utilizzata dalle nostre nonne e invocata da consumatori e politici come l’antidoto al nuovo balzello. Peccato che anche queste costano: dai tre ai nove euro. E, da sole rischiano di essere un rimedio perfino più costoso del male. Senza considerare un altro piccolo particolare, tutt’altro che trascurabile: quello delle norme igieniche. Al momento non si possono raccogliere frutta, verdura e carne nei contenitori a rete. Ne va della nostra salute. Per utilizzare le vecchie sportine occorrerebbe una circolare ad hoc del ministero della Salute. Insomma, una nuova norma sulla norma. Roba da far tremare i polsi.

C’è poi un altro piccolo dettaglio, anche questo non secondario. Le bilance dei supermercati sono calibrate sul peso delle buste ultraleggere. Se le portassimo da casa, rischieremmo di avere sacchetti più pesanti e pagare ben oltre i 2-3 centesimi attualmente previsti dal nuovo balzello.  Senza contare, poi, che al momento il riuso dei sacchetti non è possibile, nonostante le dichiarazioni del ministro Galletti, costretto ad una frettolosa precisazione.

Perfino sui costi della nuova “tassa” più o meno occulta il caos regna sovrano. E’ vero che i bio-sacchetti saranno più cari perché prodotti con materiali “green”. Ma è anche vero che già oggi le catene della grande distribuzione fanno pagare ai consumatori gli involucri di plastica utilizzati per frutta e verdura. Una voce nascosta nella filigrana degli scontrini, praticamente sconosciuta non solo alla stragrande maggioranza degli italiani ma anche alle associazioni dei consumatori che solo ieri hanno scoperto la “truffa” dello scontrino con “busta incorporata”. Dimenticando, ad esempio, che nel percorso dal campo alla tavola i beni alimentari possono subire perfino una ventina di ritocchi. Tutti al rialzo. Argomento troppo noioso e poco “social”.

Niente di nuovo, verrebbe da dire, nel Paese che è riuscito a bloccare investimenti di svariati miliardi per salvare i duecento e passa ulivi cresciuti sul percorso della Tap, il gasdotto trans-adriatico che dovrebbe approdare nel Salento. Uno scontro che ha portato in piazza centinaia di pugliesi, riempito pagine di giornale e occupato le aule dei tribunali, con tanto di sentenze e contro-sentenze, per la gioia del movimento “no-Tap”. Non ci sorprenderemmo, insomma, se ora dovesse nascere un nuovo comitato. Il nome è scontato: “no-bio-shopping”. Con la buona pace di chi vorrebbe combattere contro i 100 miliardi di buste di plastica che l’Europa consuma ogni anno.