Antonio Troise
Dopo la prova di forza del referendum, è probabile che torni il dialogo. Il ramoscello di ulivo teso da Tspipras, con le dimissioni di Varoufakis e l’arrivo del più “diplomatico” Tsakalotos, ha sicuramente contribuito a stemperare il clima. Ma non ha allontanato tutte le nubi che ancora si profilano sull’orizzonte dell’euro. Sarebbe un errore drammatico, infatti, considerare il dossier Atene solo sulla base dei numeri e del peso della regione ellenica (il 2%) nell’economia del Vecchio Continente.
In gioco, infatti, non c’è solo il destino della Grecia e il suo ineluttabile default senza gli aiuti della Troika. La posta sul tavolo è il futuro dell’Unione Europea e i rapporti di forza fra i partner che hanno condiviso, fin dall’inizio, l’avventura della moneta unica. Da questo punto di vista, il referendum di domenica in Grecia è destinato a segnare un vero e proprio spartiacque e dimostra, ancora una volta, che è impossibile tenere insieme gli Stati attorno ad un progetto basato unicamente sulle regole della contabilità e sulla loro mera applicazione ragionieristica.
Tsipras ha sicuramente sbagliato a voler forzare la mano cercando di infrangere quelle norme e quei principi che sono alla base del grande progetto della Nazione Europea. I debiti vanno restituiti e i patti devono essere rispettati, anche se sono scomodi e comportano grossi sacrifici. Non si può invocare il principio, sacrosanto, della sovranità popolare, per evitare di saldare i conti e chiedere un trattamento di favore rispetto agli altri Stati che hanno subito tagli non meno importanti. Da questo punto di vista, la linea del rigore della Merkel è più che condivisibile.
Nello stesso tempo, l’Unione monetaria non può essere semplicemente la somma algebrica delle economie che la compongono ma deve rappresentare la sintesi politica delle sue diversità. Per questo, oggi, il vero problema dell’Europa è nella sua governance e nelle sue regole, nella sua incapacità di diventare Nazione continuando ad essere solo un aggregato economico. Ma la strada per ritrovare il progetto dei padri fondatori dell’Ue non può passare dal referendum di domenica ad Atene: sarebbe una scorciatoia troppo facile che finirebbe per far deragliare definitivamente il treno della moneta unica.
Per questo, dopo il voto, è importante tornare al tavolo delle trattative, ma non a tutti i costi e, soprattutto, senza alcuna condizione. E’ vero che un’eventuale uscita della Grecia dall’euro costerebbe molto di più del salvataggio di Atene. Ma sarebbe altrettanto grave e costoso concedere a Tsipras sconti e favori solo sull’esito di una consultazione popolare che, tra l’altro, non era neanche sulla permanenza nell’euro. Occorre, invece, costruire un’Europa diversa, capace finalmente di coniugare il rigore con la crescita. E’ l’unica strada a disposizione per evitare derive demagogiche o cedimenti al populismo.
fonte: L’Arena