Questo è lo stato in cui versa il canale che attraversa la pineta di Policoro.
Questa è la sua acqua. Nera, oleosa. A qualcuno importa?

Importa al Corpo Forestale dello Stato, agli amministratori, all’Arpab, alla Regione?
E se importa, quanto importa?
Quanto un dovere a cui si è costretti ad assolvere perchè un’associazione lo sta denunciando pubblicamente, quanto l’ennesima scocciatura prodotta dai soliti rompiballe che ora vi obbligheranno a nuove scusanti, attenuanti e a ad altri comunicati stampa, o vi importa veramente tanto da voler andare fino in fondo per scoprire perchè l’acqua è diventata nera e oleosa ed eliminare l’inquinamento dalla fonte?

Agli abitanti, ai cittadini importa?
E se importa, quanto importa?
Quanto un’indignazione virtuale, un bel commento da esibire sulla propria vetrina di Facebook e poi tornare beatamente a farsi i fatti propri, quanto un’altra puntura più o meno lieve, più o meno forte di rassegnazione, o quanto il bisogno di reagire e di pretendere di sapere e di vivere in un’ambiente sano dove sia possibile ancora un futuro?

Una comunità, una società, la città, il paese non vivono solo intorno a noi, ma vivono anche – anzi soprattutto – dentro di noi. Il che significa nella mia mente, nei tuoi pensieri, dentro le nostre scelte, nei nostri comportamenti: in una parola vivono e agiscono nella mia e nella tua esistenza molto più potentemente di quanto immaginiamo.

In quell’essere sociale che è l’ Uomo (inteso come homo-hominis, specie umana, maschile e femminile) sono un coro esterno, ma nello stesso tempo interno così reale e potente, che rappresenta una parte fondamentale della nostra identità. Nello stesso tempo questo coro è anche quel tutto nel quale l’identità si forma in perfetta. Gli antichi lo sapevano, tanto che l’aspetto corale rappresenta il cuore di tutte le liturgie antiche: chi conosce la tragedia greca o chi ha studiato storia delle religioni o psicologia sa cosa è questo coro, che forma, tormenta e salva inevitabilmente persino questo tronfio Uomo moderno, così cinicamente rimpiegato nel suo ego, così illuso di bastare a se stesso, così isolato e frammentato, così tanto borghese e così tanto jdiotes (“privato” in greco antico).

La natura ugualmente non è qualcosa che si trova ai bordi della nostra vita sociale, estranea e lontana in un bosco che puoi fare a meno di visitare al di là delle aree attrezzate o nelle profondità di una falda che salva il tuo sguardo da una presa di coscienza che potrebbe risultare molto pericolosa. La natura è l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, il cibo che ci nutre attraverso la catena alimentare, la bellezza che ci forma e ci trasforma nel corpo e nella mente, che “ci sostenta e ci governa”. Arriva fin dentro le nostre cellule. Non è lontana da noi.

Così può capitare che in un pomeriggio di questo dicembre stranamente caldo, mentre passeggi per il bosco e lo spettacolo di stormi di uccelli migratori è turbato dalla voce dotta di un amico che ti spiega che quegli uccelli che da lontano sembrano felici del viaggio, in realtà stanno impazzendo a causa delle trasformazioni climatiche (stanno facendo avanti e indietro dalle montagne perchè non sanno più dove andare), può capitare che abbassando gli occhi ti si pari poi davanti agli occhi la macabra visione di un canale orrendamente inquinato. Ed è a questo punto che, già spossato dalla visione della bellezza stuprata, entra in scena il coro, il coro frammentato e confuso della nostra epoca, il coro esterno e quello interno della città che vive intorno e dentro di te:

– “E’ petrolio, non lo vedi in superficie l’olio nero? O potrebbero essere anche gli sversamenti illegali degli oleifici. Ci sta massacrando chiunque e ovunque” sostiene immediatamente, fra il dubbio e una certezza, un brigante esasperato dalle troppe chiacchiere dei furbi e dai troppi ragionamenti che lo hanno tenuto alle catene fino ad ora, un brigante che non vuole più sentire ragioni e discorsi inutili e già raccoglie una pietra;

– “Ma come fai a dirlo? Può essere melma o qualsiasi altra cosa, e poi fatti un pò di cazzi tuoi, che non guasta ogni tanto” risponde indispettito e frettoloso il figlio del sistema, il sistemato, che subito volge lo sguardo altrove, su qualche panorama più consolante e meno compromettente;

– “Eh si, che vuoi fare ormai qui è tutto perduto, dobbiamo solo aspettare che arrivi il peggio, che possiamo farci noi?” fa eco la voce dell’indifferente, che mentre parla si guarda intorno a cercare l’approvazione rassegnata dei suoi simili, il “mi piace”, la condivisione del comodo;

Ci vuole un atto di forza e di coraggio per rimanere individuo in questa società, per rimanere Uomo (homo-hominis) e mettere a tacere il coro che monta in cento, mille altri frammenti.

A qualcuno di questo importa? E quanto importa?

Se importa alle autorità allora facciano il loro dovere: analizzino l’acqua, puniscano i responsabili, non li lascino nell’impunità e al potere, pretendino la bonifica, la pulizia del nostro ambiente e vigilino seriamente (non negli inciuci politici e nei comunicati stampa) affinchè non si ripeta più in nessun posto, anche solo il sospetto come norma di vita in questo coro, in questo popolo.

Ma le autorità qui da noi non compiono il loro dovere, anzi il più delle volte accusano chi denuncia e lo combattono e i cittadini si voltano dall’altra parte, perchè qui da noi, la storia non ha viaggiato veloce, la democrazia ancora non la si conosce, non sono mai diventati cittadini: quì da noi, sono ancora i sudditi di qualche regno. Sudditi all’esterno e all’interno. Soprattutto dentro, nella mentalità, nel pensiero, nei comportamenti, nelle paure, nei pregiudizi …

E se non importa veramente a nessuno, o importa poco e distrattamente, allora che senso ha per l’Uomo (homo-hominis) continuare la battaglia per l’umanità, quando già è grande la fatica che gli tocca impiegare per proteggere con i denti quel che di veramente umano rimane nella sua vita.  Falde, dighe, fiumi e canali inquinati si moltiplicano ogni giorno qui da noi, terre dichiarate avvelenate (vedi Val Basento) non fanno nemmeno più scandalo, chi vuole stare tranquillo, chi vuole sistemarsi si mette con gli inquinatori e chi non sta con loro non sta contro l’inquinamento, ma rimane da solo a godersi una tranquillità sempre più desolante, una sicurezza sempre più cattiva (da “captivus” che significa “prigioniero” in latino), una comodità sempre più lontana dalla pace e sempre più simile al deserto.

Le nostre acque stanno diventando nere almeno quanto le nostre coscienze e naturalmente il nostro avvenire.
Cos’altro possono produrre, infatti, un ambiente e un Uomo del genere se non un futuro cupo?)

A qualcuno interessa cambiare? Se si quanto? E fino a che punto?
C’è qualcuno che abbia un motivo più importante della sicurezza e della tranquillità nel deserto, per voler cambiare?

 

Fonte: http://www.karakteria.org/contenuti/15/12/29/bosco-di-policoro-lacqua-%C3%A8-nera-a-qualcuno-importa