Il bonus mamma è un esonero contributivo previsto dall’ultima legge di Bilancio a favore delle madri con almeno 2 figli assunte con contratto a tempo determinato sia nel settore pubblico che ne privato (anche agricolo, in somministrazione e in apprendistato). Ecco una mini-guida per utilizzarlo.
Quanto vale? La misura prevede un esonero del 100% dei contributi a carico delle lavoratrici (9,19% per i redditi mensili lordi sopra i 2.692 euro/mese) sino ad un limite massimo di 3.000 spalmato su 12 mensilità (250 euro/mese).
A chi è destinata la misura? Per il triennio 2024-2026 il bonus va alle madri con 3 o più figli di cui almeno uno minorenne e sino al compimento dei 18 anni di età del più piccolo. Per il solo 2024 il bonus va anche alle madri con 2 figli di cui almeno uno di età inferiore ai 10 anni. Se la nascita del secondo figlio interviene in corso d’anno, il bonus sarà riconosciuto dal mese di nascita fino al compimento del decimo anno del bambino.
Quale tempistica è prevista? La misura è entrata in vigore il primo gennaio ma solamente il 31 gennaio l’Inps ha emanato la circolare applicativa con le istruzioni destinate alle aziende. I primi effetti in busta paga (arretrati compresi) si vedranno così dallo stipendio di marzo.
Come si ottiene? Per ottenere il beneficio occorre comunicare al datore di lavoro la volontà di avvalersi dell’esonero e rendendo noti il numero dei figli ed i codici fiscali dei 2/3 figli che consentono di ottenere la decontribuzione. In alternativa si può utilizzare l’applicativo che dovrebbe mettere a disposizione l’Inps.
Cosa è previsto per lavoratrici autonome, dipendenti assunte part-time o con altre forme di contratti precarie e colf? Nulla. Queste categorie non sono ammesse al benefico al pari delle lavoratrici dipendenti con un solo figlio. Secondo le stime dei sindacati, che per questo motivo hanno subito criticato questa misura, il nuovo sgravio dovrebbe interessare appena il 6% della platea delle donne lavoratrici.
Questa misura è cumulabile con taglio del cuneo fiscale? No. Per questa ragione ai redditi più bassi che già beneficiano di uno sconto di 7 punti per chi guadagna sino a 25 mila euro lordi all’anno e di 6 punti da 25.001 a 35 mila euro si applica una riduzione minore, rispettivamente di 2,19 e 3,19 punti.
In concreto quali vantaggi economici si ottengono? Il taglio della trattenuta previdenziale (che, come detto, a seconda dei livelli di reddito può essere di 2,19, 3,19 o 9,19 punti nel limite dei 250 euro) non si traduce in un incremento della retribuzione netta di pari ammontare. Infatti la diminuzione della trattenuta previdenziale fa aumentare l’imponibile Irpef e quindi l’Irpef da pagare determinando una significativa erosione del beneficio.
Come cambia la busta paga? Con un reddito lordo mensile di 2.000 euro a fronte di un esonero contributivo di 64 euro il netto in busta paga aumenta di 49 euro perché ci sono 15 euro di Irpef in più da pagare, a 2.500 con 80 euro di contributi in meno la busta paga sale di 52 euro, a quota 3.000 lo sgravio raggiunge i 250 euro ma lo stipendio mensile netto sale appena di 163 a quota 2.213 euro, di 162 euro (a 2.803 euro) con 4.000 euro lordi, mentre a 5.000 la busta paga sale solamente di 142 euro passando da 3.199 a 3.341 euro.