Da Parigi – Giulia Pesole
“Durante tutta la mia infanzia ho sentito mia madre parlare delle nostre origini italiane, sentivo i nomi di zia Dina e di Nana, la mia bisnonna. Poi un giorno, all’inizio degli anni ’70 sono andato a Napoli, a Roma e a Pompei, sotto una pioggia torrenziale: è stato magnifico.” Sono le parole con cui il fotografo Bernard Plossu apre la propria mostra inaugurata a La Maison Européenne de la Photographie a Parigi.
“L’Italie de Bernand Plossu” è un viaggio a colori e in bianco e nero, compiuto in diversi anni attraverso le strade del nostro paese, dalle montagne del Piemonte fino alle isole della Sicilia, sotto il sole cocente estivo e sotto la pioggia invernale. “Io dico sempre che il brutto tempo è il bel tempo per un fotografo”, racconta Plossu, che dell’Italia ama anche quello che a torto noi chiamiamo “il brutto tempo”. “Tutto mi attira, e fotografo ovunque, a piedi, in auto, in treno, i paesaggi, le persone, gli ambienti, l’architettura, il presente, il passato, il futuro, la poesia. Mi sento a casa, sarà forse un ritrovarsi con le radici materne?”
Nato in Vietnam nel 1945, nutrito dalla controcultura americana e dall’estetica della Nouvelle Vague, Bernard Plossu voleva diventare regista. Dal 1960 al 1965 frequenta la Cineteca, dove vede i classici di Dreyer, Bergman, Buñuel, Eisenstein, Bresson et Truffaut, Godard, Jessua.
Interessato anche al Neorealismo italiano e occidentale, Plossu impara a conoscere l’immagine attraverso il cinema. È un fotografo insolito, inclassificabile, che, a partire dagli anni ’60, traccia il suo percorso da solo, un percorso ai margini del reportage, della fotografia d’arte e di moda, “per essere – ci dice – al passo con il mondo e con quello che accade”. Per questo cineasta, fotografo del movimento, la fotografia è un mezzo per fissare il pensiero verso una conoscenza personale e fisica del mondo.
“Alla fine degli anni 70 – racconta ancora Plossu – abitavo sugli altipiani selvatici del Nuovo Messico e tornando di tanto in tanto in Europa, avevo un bisogno più forte di me di andare in Italia, non so perché, forse per camminare lungo le strade verticali, mentre i paesaggi dell’America occidentale che percorrevo a piedi erano per lo più orizzontali! E da quel viaggio a Roma nel 1979, dagli Stati Uniti, non ho più smesso di andare tutte le volte in Italia: un bisogno, una passione, ci sto bene.”
Plossu fotografa con le vecchie macchine fotografiche Nikkormats, con un solo obiettivo da 55mm, il più classico, per non deformare la realtà. Oltre al bianco e nero Plossu utilizza la tecnica del cosiddetto “procedimento Fresson,” modalità di stampa a carboncino colorato, con la quale lavora dal 1967. Con il colore le sue fotografie si caricano di una luminosità vissuta che ne accresce la qualità onirica, surreale. È proprio in questa poetica del surrealismo e della metafisica che il fotografo trova una delle sue principali fonti d’ispirazione.
Da sempre affascinato da grandi artisti e scrittori italiani quali Carlo Carra, Campigli, Morandi, Veronese, Giotto, Piero della Francesca, Carlo Emilio Gadda, Rosetta Loy, Giuseppe Bonaviri, Andrea Camilleri, Bernard Plossu ha costruito la propria grammatica fotografica, elaborando un tipo di fotografia che è indice di qualcosa di vicino e lontano allo stesso tempo, intimo e insieme impersonale, dove l’uomo, la natura e la cultura si sovrappongono.
A partire dal 1987, per una quindicina d’anni, Plossu ha percorso a piedi le zone desertiche del sud della Spagna. L’incontro con questo nuovo “giardino di polvere” prolunga le sue spedizioni precedenti nei deserti americani e del Sahara. Il vuoto, il silenzio, la solitudine, il confronto con i ritmi estremi della natura rivelano un viaggio iniziatico che lui stesso filma e fotografa come se fosse una sinfonia naturale.
La mostra “L’Italie de Bernand Plossu” si può visitare a Parigi fino al 5 aprile 2015.