Antonio Troise
Approvata all’unanimità, con tanto di applauso bipartisan. Un evento raro per i lavori in Commissione Bilancio. E poco importa se, in realtà, la web tax, farà il suo esordio solo dal primo gennaio del 2019, sei mesi più tardi rispetto alla tabella di marcia delineata nelle prime versione dell’emendamento. Meglio prendersi qualche settimana piuttosto che correre il rischio che la montagna partorisca un topolino, avranno pensato i senatori. Anche a rischio di veder sfumare il gettito previsto dalla misura e che avrebbe fatto comodo per i partiti a caccia di coperture. A conti fatti, una cinquantina di milioni di euro su un gettito che, nel 2019, dovrebbe attestarsi su 119 milioni. Per arrivare fino a 1 miliardo quando marcerà a regime. Ma ci vorranno almeno 3-4 anni.
Il parto del provvedimento non è stato per nulla facile. Anzi. Fra pressioni e pareri tecnici, l’emendamento ha ballato moltissimo negli ultimi giorni, fino ad arrivare alla terza stesura, quella definitiva, che contiene molte modifiche rispetto al testo messo a punto da Massimo Mucchetti, da anni in prima fila contro quei giganti del Web che continuano a fare incassi miliardari e a versare briciole nelle casse dell’erario.
E’ vero che, nonostante i ripetuti inviti, i responsabili delle multinazionali hanno disertato le audizioni. Un po’ per non dare peso alla tassa. Un po’ perché hanno preferito lavorare ai margini, contattando direttamente i senatori. Ma a frenare il provvedimento sono stati, nelle ultime ore, anche gli istituti di credito, destinati a diventare sostituti di imposta per conto dell’erario. Perché la nuova tassa si applicherà su tutte le web company che operano in Italia. Con una differenza sostanziale: quelle che hanno sede all’estero si vedranno decurtare il 6% direttamente dagli intermediari finanziari. Quelle con sede in Italia dovranno autodenunciare ogni mese o due gli incassi per poi pagare la tassa. Ma è solo un’ipotesi: il governo, infatti, sta mettendo a punto un sistema di detrazioni che dovrebbe consentire alle piccole aziende italiane che operano sul web di evitare il salasso. Non a caso, nella prima versione del provvedimento, messo nero su bianco sempre da Mucchetti, era prevista una vera e propria esenzione per le aziende che operavano in Italia. Poi, però, qualcuno si è accorto che l’Ue avrebbe avuto qualcosa da dire e si è imboccata la strada dei crediti di imposta. Le banche, invece, dovrebbero ricevere commissioni ad hoc per il loro servizio di sostituti di imposta. Il tutto sarà deciso nei decreti ministeriali da varare entro luglio.
Dalla web tax resta per ora fuori l’e-commerce con tutto il suo giro di affari. E, non è detto che quando il testo arriverà alla Camera, non ci saranno ulteriori modifiche. Il presidente pd della Commissione Bilancio, Francesco Boccia, ha già annunciato ritocchi. “Verificheremo i tempi ma dovremo anche cercare di non penalizzare le web company italiane. Il nostro obiettivo sarà quello di migliorare il provvedimento”. Ma il suo collega di partito, Massimo Mucchetti non è per niente preoccupato: “Tutte le proposte migliorative sono benvenute. Solo che, per ora, non ne sono arrivate – spiega a Qn – L’Italia ha in questo momento è leader in Europa su questo fronte. Si tratta, naturalmente, di un primo passo, per fare fronte a un problema di portata mondiale occorre che tutti i Paesi si muovano nella stessa direzione. Ma bisognava cominciare da qualche parte e, con l’emendamento approvato ieri, lo abbiamo fatto”.
Fonte: Il resto del carlino