Nuovo colpo alle infiltrazioni mafiose nella ricostruzione post-terremoto all’Aquila. I finanzieri hanno arrestato sette imprenditori (quattro in carcere e tre ai domiciliari)n nell’ambito dell’operazione “Dirty Job”, su disposizione della Direzione distrettuale antimafia dell’Aquila. Sono accusati, a vario titolo, di estorsione aggravata dal metodo mafioso e di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. È l’esito di una complessa indagine sull’infiltrazione dei “Casalesi” nel tessuto economico aquilano e, in particolare, nei cantieri della ricostruzione degli edifici privati danneggiati dal terremoto del 6 aprile 2009. Sono in corso di esecuzione anche decine di perquisizioni nei confronti di imprenditori coinvolti nella vicenda oggetto di indagine, nelle province dell’Aquila, Caserta e Roma.
I vescovi dell’Abruzzo e del Molise (CEAM) hanno diffuso una lettera aperta “per fare chiarezza su alcune situazioni che, recentemente, ci ha visti citati” in relazione proprio alle vicende della ricostruzione, “che lasciano intravedere inquietanti manovre speculative e disgustosi giri di mazzette”. Sotto accusa la richiesta delle diocesi di essere riconosciute come “soggetti attuatori”, richiesta – ribadiscono i vescovi – “giuridicamente legittima e operativamente corretta” anche considerando situazioni analoghe (Marche, Umbria, E. Romagna) e “unicamente diretta a garantire alla comunità ecclesiale la possibilità di partecipare – come è suo diritto – ai tavoli di concertazione, dove vengono elaborate e prese le decisioni che riguardano il patrimonio ecclesiastico” anche “rinunciando all’assegnazione degli incarichi e alla gestione diretta dei finanziamenti stanziati e delle successive cantierizzazioni”. Per questo, “il fatto che, a nostra insaputa, siano stati messi in atto – come sembra – tentativi di strumentalizzare a fini disonesti la nostra richiesta, costituisce un atto grave che ci offende profondamente e suscita la nostra indignata riprovazione”.
I vescovi manifestano, quindi, “la persuasione che monsignor D’Ercole abbia sempre operato in buona fede e animato da spirito di servizio: siamo certi che egli risulti del tutto estraneo ad ogni manovra criminosa che potrebbe essere stata architettata alle sue spalle e contro ogni sua aspettativa”. La missiva si chiude con un appello alla giustizia e alla responsabilità: “La legge deve essere attuata a tutto campo e fino in fondo: perciò, chiunque abbia compiuto reati va perseguito, nessuno escluso. Il tumore del malaffare va estirpato con determinazione, ovunque esso si annidi (…). Tutti, in questa sofferta e complessa fase post-sismica, sono chiamati a concorrere, ognuno secondo le proprie capacità e mansioni, alla gigantesca opera della integrale e condivisa rinascita delle nostre zone. Desideriamo dare il nostro specifico apporto, affinché, nella convergenza fattiva e solidale, sia assicurata la buona amministrazione di tutte le risorse e ogni energia venga impiegata per promuovere il bene comune, che è bene di tutti e di ciascuno”.