di B. S. Aliberti Borromeo
Anime nere è la testimonianza nuda e cruda del male di vivere, dell’oltraggio subito da questa terra, un grido di disperazione e di speranza, un punto da cui ripartire, messo a nudo dal grande Munzi attraverso l’allegoria di una famiglia di Africo, piccolo borgo della Locride. Il regista ha scavato nel profondo della Calabria trovando pietre preziose per l’umanità, ha reso giustizia all’ingiustizia, abbattendo pregiudizi e calunnie, perpetuato la voglia di riscattarsi; una vera tragedia che supera i limiti geografici assumendo un carattere universale. Pathos, volti affranti, dolore senza tempo e senza età che solo chi non è calabrese o vive determinate situazioni non può percepire come secoli di miseria e soprusi abbiano scavato un solco colmo d’odio, dietro al quale barricare beni, affetti, la famiglia. Ma è proprio quest’odio, a provocarne altro, a generare mostruosità, innescando dolore senza fine, lutti, paure e altro odio.
Uomini dalle idee confuse, prigionieri delle violenze; giovani che altrove godrebbero dei benefici del nostro tempo ma che invece sprofondano nella ricerca dell’individualismo; donne, madri, spose, figlie e sorelle, vere vittime disperate che fanno di tutto perché quell’odio diventi concordia, fratellanza, perdono, in una parola sola diventi amore.
Paesaggi d’incanto oltraggiati dalla prepotenza di un desiderio libero da ogni freno civile, poi le capre messe non a caso per ricordare la Tragedia dal greco Tragoidia “ canto del capro”, quella carne consumata avidamente dai protagonisti,è la carne dei calabresi, sacrificati sull’altare delle ricchezze cieche, immolati ad un Dio oscuro, irrazionale e feroce.
Il film oltre ad essere una splendida prova artistica è un punto da cui ripartire, un esempio di valore consapevole, di critica e di infinito amore per questa meravigliosa e maltrattata terra.