Una garanzia statale per coprire fino a 3 miliardi di nuove obbligazioni, da emettere entro il 30 giugno con durata fino a 7 anni, a tasso fisso e rimborso del capitale in unica soluzione a scadenza. E un nuovo fondo da 2 miliardi per finanziare le garanzie e la possibile ricapitalizzazione statale (che resta però l’extrema ratio). Sono le armi messe in campo dal governo per il salvataggio di Carige: il testo è sui tavoli tecnici per sciogliere le ultime incognite legate a somme in gioco e scadenze. Per il resto, pochi dubbi perché il decreto ricalca fedelmente articoli e commi approvati nel 2016 dal governo Gentiloni per avviare la nazionalizzazione di Mps e il salvataggio di Pop Vicenza e Veneto Banca. E intanto si infimma la polemica politica. Tre diverse telefonate, intercorse tra Palazzo Chigi e la famiglia Malacalza nei giorni roventi di fine dicembre, mettono in discussione la terzietà del ruolo giocato dalla presidenza del Consiglio nella gestione dell’ultimo scandalo bancario italiano. Si tratta di chiamate arrivate nei momenti cruciali, a ridosso dell’ultima assemblea dei soci (quella che farà saltare il banco) e alla vigilia del commissariamento della Bce. Al telefono con il rappresentante del socio di maggioranza del gruppo bancario è Giuseppe Conte in persona, che di quella storia conosceva molte più cose e soprattutto molte più persone di quanto si potesse pensare. Dopo aver fallito la mediazione che si era intestato, il premier scarica su M5S i costi politici del decreto con cui mette al riparo la banca ligure, dettando la linea al leader dei Cinquestelle. E dire che l’altra sera in Consiglio dei ministri la delegazione grillina voleva chieder conto al capo del governo, che aveva preteso la «gestione diretta» del dossier ma non era riuscito a convincere i Malacalza a ricapitalizzare l’istituto: nel commissariamento di Carige da parte della Bce andava quindi compresa anche la sua inconcludente missione. Invece Conte è riuscito a ribaltare i ruoli, chiedendo il varo di un provvedimento «inevitabile» per scongiurare uno choc che «rischierebbe di generare una sfiducia di sistema». Massimo Franco ritiene sul Corriere della Sera che “la dicotomia tra un Movimento Cinque Stelle e una Lega di piazza e di governo sia destinata a dilatarsi in maniera smisurata, durante la campagna elettorale. Per questo sarà interessante seguire le ricadute del salvataggio della Cassa di Risparmio di Genova deciso lunedì notte. La mossa era inevitabile, ma si è rivelata imbarazzante e contrastata nella maggioranza M5S-Lega. L’attacco delle opposizioni, pronte a ironizzare sul ritorno alla realtà dei seguaci di Beppe Grillo e del Carroccio, è un problema quasi secondario. La vera questione riguarda la percezione che la Rete grillina e gli elettori leghisti avranno di questa operazione di Palazzo Chigi”.