Alessandro Corti
Contrordine, si torna al carbone. Con la buona pace degli ambientalisti e degli storici accordi di Parigi sul clima. Tutto da rifare. Il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, non ha avuto un attimo di esitazione per cancellare le intese raggiunte dal suo predecessore sulla riduzione delle emissioni di Co2. Una promessa fatta, del resto, in piena campagna elettorale per salvare l’industria americana delle miniere, difendere i posti di lavoro e rendere l’America più autonoma e indipendente dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico. Un programma che, di fatto, azzera anni e anni di trattative serrate fra i Grandi della terra per accelerare sulle fonti rinnovabili e per trasferire le tecnologie dell’energia pulita anche ai Paesi in via di sviluppo. Un processo che, ovviamente, ha come presupposto proprio la riduzione dei consumi di fonti fossili, anche attraverso l’introduzione di disincentivi fiscali (la cosiddetta “carbon tax”). A distanza di appena due anni da Parigi, lo scenario invece si è radicalmente modificato. E, con un incredibile voltafaccia, gli Stati Uniti non solo sono tornati sui propri passi ma Trump ha perfino dichiarato, con un pizzico di trionfalismo, che “la guerra al carbone è finita”.
Al di là delle parole, dietro lo slogan c’è poca ideologia e molto business. Con i prezzi di carbone e petrolio ormai ai minimi storici, infatti, le fonti rinnovabili rappresentano un costo troppo elevato da sostenere per le economie più industrializzate e in un mondo dove la competizione globalizzata non fa sconti a nessuno. Così nel 2017, giusto per fare un esempio, complice anche la riduzione delle piogge e quindi dell’energia prodotta con le risorse idriche, dopo due anni di riduzione dei propri consumi di carbone, la Cina sta aumentando nuovamente la sua domanda del combustibile più inquinante e nei suoi piani quinquennali continua a prevederne l’aumento, pur auspicandone la riduzione. E lo stesso si può dire per l’altra grande potenza mondiale dell’inquinamento, l’India, che a parole combatte il carbone ma poi, nei fatti, continua ad usarlo a man bassa.
La verità, insomma, è che i grandi della terra, riuniti nel G19, non sono ancora riusciti a trovare una strada condivisa per combattere l’inquinamento e salvare il pianeta dai rischi del sovra-riscaldamento. Perfino i cambiamenti climatici, sempre più evidenti, sono riusciti a smuovere la politica e a trovare delle strade alternative ai tradizionali combustibili più inquinanti. Così, la lotta per difendere il pianeta, è destinata a diventare l’ennesima dimostrazione dell’assenza di una governance mondiale rispetto a fenomeni che hanno una dimensione globale. Con l’evidente impressione di trovarci sempre più di fronte ad un politica schizofrenica, che predica una cosa ma fa, poi, l’esatto contrario.