Negli ultimi quindici anni, la popolazione meridionale è cresciuta di soli 264 mila abitanti a fronte dei 3 milioni e 329 mila nel Centro-Nord; nello stesso periodo la popolazione autoctona del Sud è diminuita di 393 mila unità mentre è cresciuta di 274 mila nel Nord.
Alla fine del 2016 la popolazione italiana si è stabilizzata in prossimità dei 60,6 milioni di residenti: rispetto al 2015 è diminuita di 76 mila unità (-1,3 per mille). Nel Mezzogiorno la riduzione è stata di 62mila unità (-3 per mille), alla fine del 2016 si contano nell’area 20 milioni e 781 mila unità pari al 34,3% della popolazione. Il peso del Sud va riducendosi pur se lentamente, dall’inizio del nuovo millennio quando risultava pari al 36%.
L’Italia è divenuta un paese di immigrazione, ma la distribuzione si è progressivamente squilibrata a vantaggio del Nord. Nel 2016 gli stranieri rappresentavano il 10,6% della popolazione del Centro-Nord (4,2 milioni) e il 4% (834 mila) di quella meridionale: rispetto al 2015 si è registrato un incremento di 13 mila unità nel Centro-Nord e un decremento di 34 mila unità nel Mezzogiorno.
Nel Sud il saldo migratorio totale continua ad essere negativo e a ampliarsi ulteriormente, passando da -20 mila del 2015 a -27,8 mila del 2016 (-1,0 per mille il tasso), mentre nel CentroNord risulta positivo ed in aumento da 51,7 mila unità a 93,5 mila unità (pari a +2,3 per mille). Tra le regioni meridionali, vi è un saldo migratorio totale fortemente negativo in Sicilia, che perde 9,3 mila residenti (-1,8 per mille), in Campania (-9,1 mila residenti, per un tasso migratorio netto di 1,6 per mille) e in Puglia (-6,9 mila residenti, per un tasso migratorio netto pari a -1,7). Con 0,2 mila e 0,6 mila unità in più, l’Abruzzo e la Sardegna sono, invece, le uniche regioni meridionali a guadagnare residenti.
La SVIMEZ ritiene che, nelle dinamiche territoriali, le migrazioni interne e quelle dall’estero continueranno a svolgere un ruolo rilevante e contribuiranno a ridefinire la geografia umana, in modo nient’affatto favorevole al Mezzogiorno che perderà 5,3 milioni di abitanti tra il 2016 e il 2065, a fronte di un assai più modesto calo (1,9 milioni) nel Centro-Nord. Vuol dire sette punti percentuali in meno nella quota di popolazione residente nel Sud, con valori che scenderebbero dall’attuale 34,4% al 29,2% del 2065.
In quest’ultima area la riduzione della popolazione sarà contenuta dalle immigrazioni dall’estero, da quelle dal Sud e da una ripresa della natalità, mentre il Mezzogiorno resterà terra d’emigrazione con scarse capacità di attrarre immigrati dall’estero e sarà interessato da un progressivo calo delle nascite.
Una crescente segmentazione del mercato del lavoro regionale ha contribuito ad alimentare accanto a trasferimenti di residenza sostanzialmente definitivi una mobilità temporanea ma di lunga distanza. Un fenomeno quest’ultimo che, proseguito anche negli anni di recessione, sembra riavviarsi in questi due anni di ripresa economica.
Secondo la SVIMEZ, è stato il risveglio delle attività produttive nel Centro-Nord a stimolare la ripresa del pendolarismo nel Mezzogiorno, che nel 2016 ha interessato circa 208 mila persone pari al 9,3% del complesso dei pendolari, a fronte del 6,3% della media del Centro-Nord. Gli spostamenti all’interno delle regioni del Sud hanno interessato 54 mila residenti con un lieve aumento rispetto al 2015 (49 mila), mentre risulta decisamente più elevato il pendolarismo verso le regioni del Centro-Nord o verso l’estero, 154 mila unità pari al 2,5% degli occupati residenti nel Sud e nelle Isole.
L’incidenza sul totale degli occupati di quelli che lavorano fuori dalla circoscrizione di residenza è diversa e di molto tra le regioni del Mezzogiorno, il valore più elevato si registra in Abruzzo (4,8%), seguito da Campania e Calabria con il 3,2%, dal Molise (3,1%), dalla Sicilia (2,5%) e dalla Basilicata con il 2,4%, mentre è più contenuto in Puglia (1,4%) e, soprattutto, in Sardegna (0,8%). Nel 2016, rispetto all’anno precedente gli occupati residenti nel Mezzogiorno con un posto di lavoro nelle regioni centrosettentrionali o all’estero aumentano di circa 25 mila unità pari al +19,1%.
Secondo la SVIMEZ, questo aumento di pendolari consistente spiega circa un quarto dell’aumento dell’occupazione complessiva del Mezzogiorno che nel 2016 è risulta di circa 101 mila unità.
Secondo la SVIMEZ, il Sud non è più un’area giovane né tanto meno il serbatoio della demografia del resto del paese. Le famiglie fanno sempre meno figli e i giovani se ne vanno; la popolazione invecchia e si riduce. Per di più, su una popolazione attiva relativamente meno giovane grava un onere per la sicurezza sociale enorme e crescente, che sottrae inevitabilmente risorse per investimenti produttivi in grado di migliorare la produttività e la competitività del sistema economico.
È sempre più questa la nuova declinazione del dualismo.