L’allarme è diretto e arriva da una fonte autorevole, il viceministro dell’Interno Filippo Bubbibo. “In Puglia c’è una mafia, nuova e potente. E fino a oggi noi abbiamo fatto molto poco», spiega in un’intervista a Repubblica. L’esponente del Viminale lancia un appello alla gente: “Ci serve. E non parlo soltanto di fenomeni di omertà ma qualcosa di più complesso culturalmente. Oggi la Puglia segnala un grande ritardo e una grande sottovalutazione sociale del fenomeno mafioso. In questo è emblematico quello che si sta verificando a Bari su “la mafia sociale”, allarmante quanto la criminalità organizzata. Una criminalità che non spara ma offre servizi, che copre i buchi dello Stato per avere consenso e fare affari è ancora più complessa. Vorrei dire una cosa sul prete della Cattedrale di Bari, don Franco Lanzolla. Ho letto le sue parole su Repubblica e mi hanno colpito molto .Tutti dovremmo leggere quello che ha detto e imparare. E soprattutto, parlo da politico, ascoltare. Quella non è una predica. E nemmeno un’accusa.E ‘larichiesta di un’assunzione di responsabilità: serve l’impegno di ciascuno di noi».
Sulla vicenda delle case popolari ai mafiosi, Bubbico non usa mezze parole: «Bisogna mettere a soqquadro gli elenchi, non farsi sfuggire nemmeno una virgola. Il welfare non può e non deve mai diventare un terreno di dominio e conquista della criminalità organizzata. Nel- le assegnazione delle case, nei sussidi, nel terreno del bisogno, più di ogni altro settore, ci deve essere una selezione rigida effettuata secondo criteri di trasparenza e merito, che valuti unicamente le condizioni di disagio e di reale bisogno». Il viceministro annuncia poi che si sta creando un’autorità anticorruzione che studi i fenomeni corruttivi guardando alla criminalità organizzata. E’ una rivoluzione, la presa di coscienza che quelle sono due facce della stessa medaglia. Inserire le interdittive anche a chi corrompe significa aver valutato le nuove dinamiche delle organizzazioni criminali e del potere mafioso».
Bubbico smentisce che si stia riducendo il numero degli agenti. Poi precisa: “Più agenti non significa più sicurezza. Vedo che spesso che chi non vuole fare i conti con le proprie responsabilità, non vuole agire o muoversi in positivo per affermare la cultura della legalità, trova gioco facile la carenza degli uomini. Non ci possono essere alibi nella lotta alla criminalità, soprattutto per chi ha responsabilità politiche e istituzionali e per la cosiddetta società civile. Quel prete, don Franco, avrebbe potuto farsi i fatti suoi. Piuttosto che ribellarsi a quei fenomeni. Avrebbe potuto prendersela con qualcuno. E invece ha parlato. Si è assunto una responsabilità. Non con più agenti, ma se tutti noi facessimo altrettanto, se seguissimo il suo esempio, vinceremmo questa battaglia».