L’articolo 116, comma 3, della Costituzione prevede che possano essere attribuite alle Regioni «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» sulla base di un’intesa fra lo Stato e la Regione interessata. Ma il merito delle richieste avanzate da Lombardia, Veneto e (in parte) Emilia-Romagna, e recepite nelle pre intese, con l’acquisizione di competenze pressoché esclusive in ambiti cruciali, quali sanità e istruzione, rischia di cristallizzare diritti di cittadinanza diversi a seconda della regione di residenza e la sostanziale rinuncia, da parte dello Stato, al perseguimento dell’unità economica e sociale del Paese.
Il tema è posto con forza da una delegazione della SVIMEZ, composta dal Presidente Adriano Giannola, dal Direttore Luca Bianchi e dal Vice Direttore Giuseppe Provenzano, nel corso dell’audizione alla Commissione per le questioni regionali sul tema del regionalismo differenziato,
Secondo la SVIMEZ, le richieste di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna non possono che avvenire in conformità al regime di piena operatività della legge 42 di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, e dunque solo dopo che, prioritariamente, vengano definiti i Livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, i costi standard e i fabbisogni standard, secondo approcci non “ragionieristici”, superando il criterio della spesa storica che penalizza il Mezzogiorno.
La SVIMEZ anzitutto ha fornito alcuni dati utili a una “operazione verità” sulla spesa pubblica regionalizzata. Occorre assumere come riferimento un complesso di spese pubbliche, che oltre al bilancio dello Stato ricomprende enti previdenziali ed altri fondi, non considerato nelle cifre diffuse sul sito del Ministero degli Affari Regionali, sulla base dei dati della Ragioneria Generale dello Stato, a corredo di una delle bozze di intesa (25.2.2019), che evidenziano un più basso livello della spesa pro-capite nelle regioni che propongono l’autonomia differenziata; una evidenza che motiva la ben nota rivendicazione di un “diritto alla restituzione ai territori” di risorse “indebitamente cedute allo Stato”. Al contrario, le regioni meridionali presentano un evidente svantaggio nella spesa pubblica pro capite. I dati del Sistema dei Conti Pubblici Territoriali (CPT) sul complesso della spesa della P.A. mostra una spesa complessiva per abitante e per settori minore al Sud, che si ripercuote sulla qualità e quantità della garanzia dei diritti di cittadinanza.
Un aspetto immediatamente collegato, fonte di forti perplessità, concerne la richiesta di trasferimento delle risorse necessarie a finanziare le eventuali competenze regionali aggiuntive. La previsione secondo cui eventuali ulteriori risorse, derivanti da miglioramenti di efficienza o aumento della capacità fiscale, siano esclusivo appannaggio delle regioni ad autonomia differenziata, è incompatibile con i principi di solidarietà ed uguaglianza, in quanto la perequazione delle risorse spetta allo Stato, il cui compito prioritario è garantire il “finanziamento integrale” delle funzioni concernenti i diritti civili e sociali (sanità, istruzione, mobilità) per tutti i cittadini, in regime di costi standard, su tutto il territorio nazionale.
Tutto questo smentisce nei fatti le assicurazioni sulla “neutralità” finanziaria dell’autonomia. L’iniziale pretesa di trattenere il gettito fiscale generato sui territori, fondata su un’argomentazione inaccettabile, non è dunque del tutto superata. È al tempo stesso inconsistente sul piano delle motivazioni e pericolosa per le conseguenze.
Questa pretesa, a parere della SVIMEZ, si basa su un duplice errore: in primis non ha fondamento assumere che il gettito fiscale riscosso determini un “diritto” dei territori. Il gettito scaturisce da un ben preciso rapporto di diritti e doveri che intercorre tra lo Stato e ogni cittadino. Inoltre, la stessa quantificazione del presunto diritto dei territori alla restituzione si basa su una errata contabilizzazione del dare e dell’avere tra Stato e Regioni.
I Residui fiscali regionali che si chiede di ridurre altro non sono che l’avanzo primario regionalizzato e poco o nulla hanno a che fare con il territorio essendo il risultato, in regime progressivo di imposta, del processo perequativo tra contribuenti ricchi e poveri, residenti e non nello stesso territorio. E’ il principio di “equità orizzontale” del federalismo cooperativo al quale si ispira la riforma del titolo V del 2001 e la legge 42 del 2009 di applicazione dell’articolo 119.
Per quanto concerne quindi il tema del Residuo Fiscale ne consegue che, anche prescindendo totalmente dai significativi effetti territoriali dell’impatto redistributivo, il saldo da considerare, non è quello definito dal semplice Residuo Fiscale ma il residuo fiscale “aumentato” ad esempio degli interessi sul debito pubblico (tra le principali voci di spesa): un Residuo Fiscale-Finanziario.
Da stime condotte (con criteri estremamente prudenziali) dalla SVIMEZ sulla base delle fonti dei Conti Pubblici Territoriali, Banca d’ Italia, Fondo Monetario Internazionale, risulta che il Residuo Fiscale-Finanziario della Lombardia è inferiore ai 20 miliardi, rispetto al Residuo Fiscale comunemente computato (2014-2016) in oltre 40 miliardi. Per il Veneto e l’Emilia-Romagna dal Residuo Fiscale mediamente computato in oltre 12 miliardi e 11 miliardi si passa ad un Residuo Fiscale Finanziario pari a circa 4-5 miliardi.
Ben oltre questa contabilità, difficilmente stimabile e comunque parziale, perché non considera i flussi redistributivi “alla rovescia” Sud-Nord, la SVIMEZ ribadisce che “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” possono essere concesse – in materie specificamente individuate, sulla base di motivazioni chiare e della dimostrazione dei miglioramenti di efficienza conseguiti – soltanto dopo una vera attuazione dei principi costituzionali, anche nel campo del federalismo fiscale (art. 119 Cost.), per la salvaguardia dell’unità giuridica e dell’unità economica e sociale del Paese.
La SVIMEZ, da anni, pone l’accento sull’interdipendenza, la complessa rete di rapporti commerciali, produttivi, e finanziari e di reciproci vantaggi che si stabiliscono tra le due aree del Paese, strutturalmente differenti ma strettamente integrate, che non sono sistemi a parte e storicamente tendono a crescere (e arretrare) insieme. Pertanto, in luogo della frammentazione delle politiche pubbliche, per agire sul contesto istituzionale e per promuovere attivamente lo sviluppo, propone un più forte coordinamento strategico degli interventi, e un più deciso impegno sul superamento del divario di sviluppo e di benessere tra le aree, vera condizione per il rilancio dell’intera economia e società.