Parla Jessica Malerba (presidente Donne in campo – Campania)
Rovesciare convinzioni codificate, respingere gli stereotipi, sconfiggere i tabù che persistono nel mondo agricolo, come in altri settori del mondo del lavoro, e che si chiama divario di genere. Superare – per cominciare – la convinzione che in campo agricolo la donna possa svolgere solo funzioni poco specializzate, opinione che non rende giustizia al fenomeno della sempre più frequente sostituzione degli uomini nella conduzione aziendale. “Ma questo traguardo – dice Jessica Malerba, presidente dell’Associazione Donne in campo Campania – non si è ancora pienamente riverberato nei luoghi in cui vengono compiute le scelte delle politiche di settore”. Jessica ha trentatré anni, laureata in economia e commercio con una tesi sul ciclo delle biomasse, sposata con una bambina, rappresenta con la sorella Rita la sesta generazione di un’azienda castanicola, la “Malerba” di Montella. Nel giorno dell’8 marzo, giornata internazionale della donna, l’associazione Donne in campo invita ad aderire alla “carta dei valori” che si ispira al ruolo femminile in agricoltura (e non solo). “Un messaggio di fiducia – aggiunge la presidente – sul nostro futuro collettivo di donne e uomini”.
Risulta che più di un quarto della popolazione mondiale è costituito dalle donne rurali. Collaborano al benessere familiare e sono al tempo stesso baluardo nella lotta alla povertà. In l’Europa le donne sono il 42% della forza lavoro e tre aziende agricole su dieci sono guidate da donne. Cosa dicono questi dati?
I dati Eurostat sulla forza lavoro del 2016 dicono ancora che nell’Unione Europea le donne rappresentano il 35,1% della forza lavoro agricola. Ma i numeri non dicono tutto, perché in questo settore spesso le posizioni lavorative ricoperte dalle donne non risultano nelle statistiche ufficiali. In Europa, in Italia, e particolarmente al Sud, le aziende sono per lo più a carattere familiare, in cui l’aiuto dei componenti della famiglia non sempre è registrato. Eppure come donne diamo un importante contributo allo sviluppo dei territori.
A lungo il lavoro contadino è stato concepito come prerogativa maschile. Come mai?
Perché il lavoro nei campi era una volta particolarmente duro. Nel secolo scorso due guerre mondiali hanno strappato dai campi per portarli al fronte generazioni di uomini. Inoltre l’industrializzazione ha causato il fenomeno dello svuotamento delle campagne dalla manodopera maschile, e tutto ciò ha spinto le donne di uscire da una posizione marginale per fare passi in avanti nel processo di emancipazione. Oggi non è più pensabile lo sviluppo dell’agricoltura senza il loro pieno coinvolgimento.
E quindi voi come Cia intendete promuovere questo coinvolgimento con un Manifesto?
Sì, e chiediamo la più ampia adesione alle donne, e non solo a quelle impegnate in attività rurali. E’ importante costruire una coscienza diffusa, ottenere convergenza di un orientamento quanto più condiviso. Ecco perché chiediamo alle donne una adesione sia di mente e di cuore a un indirizzo di pensiero, per rimarcare l’esigenza di una maggiore rappresentatività femminile non solo comparto agricolo. Creare connessioni, anche con gli uomini, attorno all’esigenza di superare la disparità di genere.
Come nasce il Manifesto delle donne per la Terra?
E’ una carta dei valori che si ispira liberamente alle parole di Albertina Soliani, Presidente dell’Istituto Cervi e speciale “Madrina” del Manifesto. E’ una bandiera di una battaglia per la governance delle donne, chiamate a svolgere un ruolo di primo piano dove si decide. Partecipando alla vita produttiva e sociale con i modi e i tempi che sono in linea con la natura delle donne. Insomma, uno strumento per far sentire la nostra voce.
E la situazione in Campania com’è? Si assiste a una evoluzione?
Negli ultimi anni si manifesta una emersione, assieme a trend di crescita, di aziende agricole guidate da donne. E in Campania forse anche più rispetto ad altre regioni.
Che cosa ha di diverso la mano femminile nelle attività di carattere agricolo?
Come donne siamo per natura più vicine alla terra, e non è così solo per formazione culturale ma proprio per differenza di genere. Ne sono convinta anche per la mia osservazione diretta delle lavorazioni castanicole. A Montella non c’è famiglia che non abbia un castagneto e a lavorarlo sono quasi sempre le donne, come forma di integrazione del reddito. La cura con cui le donne lavorano il prodotto è diversa da quella maschile, perché è tra l’altro un lavoro che necessita di molta pazienza.
La sua azienda nasce nel lontano 1862. Oggi la componente femminile che ruolo ha?
Nei periodi di maggior lavoro, in autunno, arriviamo anche a quindici o venti occupati. Le dico solo questo: a parte mio padre e l’autista, tutti gli altri addetti sono donne.