L’ultima tragica avventura organizzata da Mazzini è la spedizione di Sapri, guidata dal patriota Carlo Pisacane e cantata in una celebre poesia, ‘Eran trecento…’ da Luigi Mercantini. Sbarcati nel salernitano i rivoltosi vengono intercettati e sterminati dai soldati borbonici e dai contadini locali. Pisacane si uccide il 2 luglio 1857 per non cadere vivo nelle mani del nemico.
La spedizione di Sapri fu una impresa tentata da Carlo Pisacane e da un gruppo ristretto di mazziniani almeno in parte in modo autonomo dal proprio punto di riferimento.
Un contributo finanziario fu offerto dal banchiere livornese Adriano Lemmi.
Il piano originale, secondo il metodo insurrezionale mazziniano, prevedeva di accendere un focolaio di rivolta in Sicilia dove era molto diffuso il malcontento contro i Borbone, e da lì estenderla a tutto il Mezzogiorno d’Italia. Successivamente invece si pensò più opportuno partendo dal porto di Genova di sbarcare a Ponza per liberare alcuni prigionieri politici lì rinchiusi, per rinforzare le file della spedizione e infine dirigersi a Sapri, che posta al confine tra Campania eBasilicata, era ritenuta un punto strategico ideale per attendere dei rinforzi e marciare su Napoli.
Il 4 giugno 1857 Pisacane si riunì con gli alti capi della guerriglia per stabilire tutti i particolari dell’impresa.
Un primo tentativo fallito si ebbe il 6 giugno: l’avanguardia di Rosolino Pilo perse il carico di armi destinato all’impresa in una tempesta. Con l’intento di raccogliere armi e consensi Pisacane si recò a Napoli, travestito da prete. L’esito fu molto deludente ma Pisacane non si lasciò scoraggiare persistendo nei suoi intenti.
Il 25 giugno 1857 a Genova Pisacane s’imbarcò con altri ventiquattro sovversivi, tra cui Giovanni Nicotera e Giovan Battista Falcone, sul piroscafo di lineaCagliari, della Società Rubattino, diretto a Tunisi. Pilo si occupò nuovamente del trasporto delle armi, e partì il giorno dopo su alcuni pescherecci. Ma anche questa volta Pilo fallì nel compito assegnatogli e lasciò Pisacane senza le armi e i rinforzi che gli erano necessari. Pisacane continuò senza cambiare piani, impadronitosi della nave durante la notte, con la complicità dei due macchinisti inglesi, si dovette accontentare delle poche armi che erano imbarcate sul Cagliari.
Il 26 giugno sbarcò a Ponza dove, sventolando il tricolore, riuscì agevolmente a liberare 323 detenuti, poche decine dei quali per reati politici per il resto delinquenti comuni, aggregandoli quasi tutti alla spedizione. Il 28, il Cagliari ripartì carico di detenuti comuni e delle armi sottratte al presidio borbonico. La sera i congiurati sbarcarono a Sapri, ma non trovarono ad attenderli quelle masse rivoltose che si attendevano. Anzi furono affrontati dalle falci dei contadini ai quali le autorità borboniche avevano per tempo annunziato lo sbarco di una banda di ergostolani evasi dall’isola di Ponza. Il 1º luglio, a Padula vennero circondati e 25 di loro furono massacrati dai contadini. Gli altri, per un totale di 150, vennero catturati e consegnati ai gendarmi.