Mercoledì 16 dicembre 1987. A Palermo viene emessa la sentenza di primo grado del maxi-processo a Cosa nostra. «“In nome del popolo italiano”, Palermo ha vissuto ieri una giornata decisiva. Perché, quando alle 18.05 la prima Corte d’assise ha fatto ingresso in aula, e il presidente Alfonso Giordano, ingentilito da barba e baffi che gli sono cresciuti in 36 giorni di camera di consiglio, ha cominciato a leggere la sentenza del grande processo contro la mafia, si è subito capito che la vita della città è a una svolta. Nessuna ambiguità: la mafia esiste, signori, ed eccone una gran parte nelle gabbie dell’aula-bunker dell’Ucciardone. Così, per lunghi tre quarti d’ora, si è sentito ripetere uno slogan raro, da queste parti: “La corte condanna”. E condanna davvero: una raffica di ergastoli, certo meno dei 28 chiesti dal pubblico ministero, anche perché, intanto, il latitante Mario Prestifilippo è stato condannato a morte dalla mafia stessa. Ma ecco l’ergastolo a Michele Greco, il “papa”, giudicato colpevole di molti dei 78 omicidi di cui, come supremo mandante, era accusato. Ed ergastolo a Nitto Santapaola, il killer dei catanesi che massacrò il generale Dalla Chiesa, sua moglie Emanuela, la guardia Russo. Ergastolo a Bernardo Provenzano e Salvatore Riina, corleonesi, eredi del potere mafioso di Luciano Liggio. Diciannove ergastoli, in totale, perché la mafia esiste: eccola. E poi anni di carcere. Una montagna di anni da far tremare: due millenni e sei secoli, per la stragrande maggioranza dei 456 imputati. […] Così, ieri sera, Palermo ha ascoltato la sentenza come una liberazione. Il più grande processo nella storia d’Italia, un’aula-buker da miliardi costruita appositamente, ventun mesi di dibattimenti, 1.314 interrogatori, tutto avrebbe significato, in caso di assoluzione, una sola sentenza, angosciosa: la mafia è invincibile. Invece la corte ha condannato» [Alessio Altichieri, Corriere della Sera 17/12/1987].