“In attesa dei nuovi assetti in Abc, mi auguro si apra una discussione seria non sulle caselle da riempire nel CdA ma, più in generale, sulla necessità di mettere un punto alla fallimentare gestione dell’azienda speciale dell’acqua di Napoli, fulgido esempio di una cattiva interpretazione dalla politica dei Beni comuni”. Lo dichiara il presidente della commisione Trasparenza del consiglio comunale, Domenico Palmieri.
“Come giustamente sottolineano gli Rsu dell’azienda – prosegue Palmieri – si è rivelato fallimentare il criterio del sorteggio per la scelta dei componenti del CdA, quello della gratuità della carica di amministratore, su cui il sindaco de Magistris ha già fatto il mea culpa, e, più in generale, tutto il progetto che avrebbe dovuto affidare all’Abc l’intero ciclo di gestione delle acque, mentre al momento gestisce solo quella potabile”.
“Gli errori – continua – partono da lontano, esattamente dalla trasformazione dell’Arin in Abc. L’Arin era una società in house del Comune. Il suo statuto era iper-blindato: nel 2010 una clausola di salvaguardia già ne sanciva la natura totalmente pubblica e l’impossibilità di alienare parte della società ai privati. Per chi ha fatto dei Beni comuni il proprio credo politico, questo non bastava: hanno voluto trasformarla in azienda speciale. Questa prevede che i fondamentali documenti di pianificazione, dal budget annuale al programma pluriennale, dallo statuto al bilancio, siano approvati dal consiglio comunale. Il risultato? Dal 2014 non è stato approvato alcun bilancio, né è stato consegnato al consiglio alcun documento di pianificazione”.
“Ma anche l’idea di rafforzare l’Abc, ripetuta come un mantra ad ogni cambio del vertice aziendale (e quindi molto spesso), è rimasta una pia intenzione: manca, infatti, il totale trasferimento delle competenze in materia di fognature e depurazione”.
“Tra le poche partecipate che dal 2003 ha sempre chiuso i bilanci in utile – incalza Palmieri – l’azienda ora è in crisi anche dal punto di vista economico. Basti pensare che nel 2014, come ha rivelato la Corte dei Conti, il Comune, pur facendo propri gli utili di esercizio, è rimasto debitore per una cifra di oltre 50 milioni di euro nei confronti della stessa azienda per attività non riconosciute e per crediti di fornitura”.
“Sono evidenti l’inadeguatezza del soggetto giuridico e la mancanza di strategie concrete per l’implementazione del ciclo idrico integrato del territorio cittadino. Occorre voltare pagina e subito”.