Il pranzo borbonico, complessivamente, prevedeva due imbandigioni: la prima di 36 pietanze e la seconda di 32. Il servizio era alla francese, ossia tutta l’imbandigione veniva sistemata in tavola e i commensali si servivano da soli, chiedendo al personale di servizio solo la mescita delle bevande. Finita la prima imbandigione, composta di zuppe e potage, hors d’ouvres (anche dette ordure), entrèes e relever, i camerieri smontavano interamente il desco ripulendolo, sostituendo i bicchieri, i piatti e le posate, cambiando il pane e i vini: subito dopo gli arrosti erano pronti a fare la loro comparsa. Il ricco pasto includeva anche prelibate pietanze di rosticceria e pasticceria.

Ricevimenti e ospiti illustri

Le delizie destinate alla Tavola del re allietavano gli ospiti durante i ricevimenti grandiosi e le spettacolari feste che accompagnavano l’intensa attività di Corte e magnificavano la dinastia. A tale scopo furono chiamati architetti, artisti e artigiani tra i più famosi del loro tempo, impegnati a trasformare le residenze reali. Ospiti illustri scandirono con il loro passaggio la storia del Regno di Napoli, attratti dalle bellezze e dalle offerte della Corte.

Il Maggiordomo maggiore, garanzia contro i veleni

L’organizzazione di queste attività era affidata alla Maggiordomia Maggiore di Casa Reale, esecutrice della politica interna del palazzo. Le sue competenze comprendevano la complessa articolazione economica della Casa Reale, le suppliche rivolte al re, i cerimoniali in vita e in morte, le feste, i menù, i consumi interni del palazzo, i preparativi e i regolamenti, le spese delle feste.

Svolgevano compiti ausiliari il Maggiordomo della regina e i Maggiordomi “di settimana”, che facevano da corollario al sovrano in rappresentanza della nobiltà. La loro nomina era una di quelle più ambite, poiché consentiva di assistere il sovrano nelle cerimonie pubbliche in vita e in morte.

Tuttavia, l’autentico potere era concentrato nelle mani del Maggiordomo Maggiore, vero alter ego del sovrano e suo consigliere nelle pratiche riservate di Palazzo.

La carica di Maggiordomo Maggiore durava quanto la vita stessa del sovrano. Egli eseguiva la plateale funzione dell’assaggio prima di ogni pranzo, che doveva preservare il sovrano dal rischio di avvelenamento. Il Maggiordomo maggiore definiva il cerimoniale di pranzi e ricevimenti.

I maccheroni del Re a mezzanotte

Anche nei resoconti di viaggio degli Illustri Stranieri sono riportati racconti di ricevimenti e feste a Palazzo: la giovane scrittrice e poetessa inglese Lady Anna Miller, nelle sue Lettere dall’Italia, riferisce di quando, invitata dai Duchi di Termoli, fu presentata a corte nel 1771 e invitata dalla regina ad una festa nel Palazzo Reale:

“Durante un suntuoso ballo al Teatro di Corte, a mezzanotte la regina si toglieva la maschera per andare a cena con i suoi ospiti. Si cenava nei primi saloni del palazzo, ampiamente illuminati. Le sedie erano collocate lungo i muri. In nessuna sala vi erano tavole. Quando tutti erano seduti, i soldati più belli, scelti tra le guardie del corpo del re, servivano i tovaglioli che venivano distesi sulle ginocchia, e poi i piatti d’argento, i coltelli e le forchette. Si iniziava con un delizioso pàté di maccheroni, burro e formaggio, che si serviva proprio a mezzanotte, tipico delle serate danzanti che si tenevano nella Reggia. Seguivano vari piatti di pesce, sughi, cacciagione, carni fritte e arrosto, pasticci di Périgord, teste di cinghiale, ecc… Dopo la cena, un soldato con un grande paniere vuoto, portava via i piatti sporchi. Il vino, l’acqua e le bibite venivano servite tra una portata e l’altra. A fine pasto venivano offerti i dolci: biscotti, gelati di cioccolato e una grande varietà di frutta in ghiaccio e creme. Terminata cena, la regina si alzava e si avviava verso la sala da caffè, facendo

da guida agli altri. La sala era attrezzata come un caffè di Parigi: le pareti sono coperte di scaffali sui quali vi sono tutte le qualità di liquori e di vini greci. Vi sono tavole dietro alle quali stanno alcuni giovanotti con berretti e giacche bianche, che fanno e servono il caffè e altri rinfreschi, dei quali vi è grande abbondanza. Il ballo continuò fino alle sette del mattino ma noi essendo molto

stanchi di ballare venimmo via alle quattro. In una cosa decisi di seguire le dame italiane: quella di bere acqua gelata e limonata in ghiaccio se fosse molto caldo, e cosa stranissima invece di averne un disturbo, sentii molto meno la stanchezza e non ne risentii alcun senso di freddo”.

 

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