di ALESSANDRO FILIPPINI
Alzi la mano chi almeno per una volta nella vita non ha avuto voglia di mettere la testa sott’acqua per vedere le meraviglie del mondo sommerso. Delfini, coralli, magari mante e balene e per i più audaci qualche squalo.
Ma nei mari che accarezzano le coste del nostro meridione c’è molto altro. Parliamo di siti archeologici sommersi, frutto di naufragi di navi romane lungo le rotte per l’antica Magna Grecia, o di galeoni spagnoli o ancora di intere ville sprofondate per effetto di bradisismi, come a Baia, non lontano da Napoli. Un’eredità storica inestimabile.
Ma visto non è detto che tutti si debba diventare subacquei, oggi c’è la novità che consente a chi vuole dare un occhiata a queste meraviglie senza essere sub e senza separarsi da calzoncini e ciabatte. Un progetto di realtà virtuale in 3d che viene da un campus universitario che ogni anno sforna spin off, strutture cioè figlie dei vari dipartimenti di facoltà che si trasformano in aziende autonome.
Il campus in questione è l’università della Calabria a Cosenza, Italia. In uno dei “cubi”, cosi chiamano qui i dipartimenti, è partita l’idea destinata alla fruizione del mondo sommerso. Prima di tutto è stato realizzato un attento lavoro di mappatura e riproduzione delle condizioni naturali di due siti reali, nell’Area Marina Protetta di Capo Rizzuto (provincia di Crotone), dove si trova un relitto di una nave imperiale romana, e nell’Area Marina Protetta delle Egadi, dove invece è stato scoperto un relitto di un’imbarcazione ricca di anfore, sempre di epoca romana. Dopodiché si è proceduto alla realizzazione del progetto 3d che consente, attraverso speciali occhiali e joystick manuali di nuotare esplorando i due siti con la possibilità di attivare la spiegazione audio video dei punti di maggiore interesse, il tutto in un ambiente estremamente realistico e come se non bastasse accompagnati da una guida, virtuale anch’essa. É facile immaginare quali siano le potenzialità divulgative di questo strumento che potrà essere utilizzato in ambiti scolastici ed accademici così come in musei o istallazioni temporanee. Ma non è tutto qui, si perché non contenti di aver prodotto un notevole strumento di divulgazione turistico/scientifica, al DIMEG di Cosenza hanno pensato di progettare un sistema che potesse geolocalizzare, cioè mappare in tempo reale un punto sott’acqua. Cosa vuol dire? Immaginate cioè di trovarvi sott’acqua su un sito sommerso e di scattare foto alle varie parti del sito stesso, lo strumento che state usando vi darà le coordinate esatte del punto in cui vi trovate fornendovi informazioni su quanto state vedendo. E cosa sarà mai questo strumento? Un comunissimo tablet, all’interno di una custodia appositamente studiata cui viene associato una sorta di modem subacqueo, altro progetto italiano. L’intera realizzazione è stata resa possibile da Visas (Valorizzazione Integrata dei Siti Archeologici Sommersi), un progetto coordinato dal prof. Fabio Bruno in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e le start-up 3D Research, Applicon e Enviroconsult.
Anche qui sono diverse le applicazioni possibili che vanno dall’impiego turistico, fino a quello giudiziario per i rilievi in ambiente marino necessari alle forze dell’ordine. Ma ancora non basta, perché lavorando in ambito archeologico il DIMEG ha raccolto la sfida di restauratori che volevano poter lavorare “in situ”, senza cioè dover portare i reperti fuori dall’acqua compromettendone magari l’integrità. Ma come si fa a portare sott’acqua strumenti magari elettrici, nati per stare in laboratorio? Semplice..non si portano…se ne costruiscono di nuovi!! E così attraverso l’uso di stampanti 3d in grado di lavorare acciaio e titanio oltre che nylon, i ricercatori della tech4sea, altra start up dell’ateneo cosentino hanno prodotto strumenti, anche elettrici, che hanno permesso il restauro subacqueo. Fin qui il racconto di una eccellenza, l’ennesima a dire il vero, tutta italiana, ma il valore aggiunto di questa realtà é che le aziende nate dal lavoro dei professori di questa università creano lavoro per chi in questo campus studia e si laurea non dovendo pensare di lasciare il paese in cerca di migliori opportunità. Un’ultima cosa, nulla viene ai professori in ambito accademico dal lavoro svolto nelle spin off i cui ricavi vengono reinvestiti in nuovi progetti, e quindi in nuovi futuri posti di lavoro per il sud.