Antonio Troise
Per fortuna che Draghi c’è. Sarà anche vero che il super Mario europeo, come continua a ribadire, non sta dando un aiutino alla nave Italia, alle prese con una crisi praticamente al buio. Ma è indubbio che la decisione della Banca Centrale Europea di continuare a tenere aperti i rubinetti della liquidità, allungando di altri nove mesi il cosiddetto “Quantitative Easing”, favorisce soprattutto i paesi più instabili. E non solo finanziariamente. La risposta dei mercati non si è fatta attendere. Ieri, nonostante le turbolenze politiche, la Borsa di Milano ha chiuso con un risultato più che positivo (1,6%). Mentre lo spread fra i titoli italiani e quelli tedeschi, nonostante un piccolo rimbalzo, continua a viaggiare al di sotto della soglia di sicurezza, attorno ai 160 punti base.
La trincea costruita faticosamente da Mario Draghi resiste a tutti i colpi. Anche a quelli dei “falchi” tedeschi, che in seno al consiglio di Francoforte, continuano a osteggiare le politiche del presidente della Bce. Non a caso l’allungamento del “Quantitave Easing” è passato a maggioranza, con il voto contrario del rappresentante della Bundesbank, Weidmann.
Ma, al di là delle polemiche ormai stantie fra i cultori del “rigore” a tutti i costi e quelli dello “sviluppo”, resta un dato imprescindibile: la Bce continua ad essere l’unica istituzione europea in grado di dare una rotta ad un’Europa ormai sempre più smarrita. Le turbolenze italiane non sono affatto isolate. Nei prossimi mesi bisognerà fare i conti con le elezioni tedesche e con quelle francesi. In Austria, solo per un pelo non è stato nominato un presidente dichiaratamente anti-europeista. E il vento gelido della Brexit continua ad assestare colpi micidiali sull’attuale establishment, alimentando le correnti populistiche. Uno scenario di estrema instabilità, dove basta davvero poco per scatenare nuove tensioni. Se a questo aggiungiamo le pressioni alle quali è sottoposto il sistema bancario il quadro di insieme si presenta ancora più complicato.
La mossa di Draghi, in questo senso, ha due significati. Da un lato, ha allontanato dai mercati il rischio del “tapering”, della chiusura dei rubinetti del credito. Ma, dall’altro lato, la decisione della Bce, lancia anche un segnale significativo: in Europa, nonostante tutto, c’è almeno un’istituzione forte, che parla con una sola lingua ed è in grado di prendere decisioni sensate (ed efficaci) sul fronte dell’economia. Certo, per invertire la rotta e imboccare davvero il sentiero della crescita, servirebbe anche che dall’altra parte, quella politica, ci fosse altrettanta forza e autorevolezza: è la gamba che continua a mancare a tutta l’Europa (e non solo all’Italia) per rimettersi davvero in marcia.
Fonte: L’Arena