Un appuntamento che si ripete fino alla fine della “Settimana delle Culture”, nella sala dei musici a Palazzo Alliata di Villafranca in Piazza Bologni: la Shoà, mostra documentario, presentata da Andrea Cabrera. La Cabrera, di fronte a una nutrita platea di studenti, ha chiesto ai ragazzi, alla fine dell’incontro, di raccontare la storia di un ebreo che fu deportato ad Auschwitz” per raccoglierne così una memoria che renda viva il ricordo di quella ignobile e sanguinaria deportazione e uccisione di oltre 6 milioni di ebrei.
Dimenticare- dice la Cabrera – significa essere complici – chiedo perciò a voi ragazzi di ricordare un nome, di adottarlo perché diventi immortale il ricordo di questi ebrei. A seguire l’intervento della d.ssa Maria Antonietta Ancona, vice presidente dell’istituto Siciliano di Studi Ebraici, ha spiegato ai ragazzi “Gli Ebrei in Sicilia”: una prima Shoà fu decisa nel 1492, da Re Ferdinando e dalla consorte Isabella di Spagna. L’editto, custodito nell’archivio Storico Comunale di Palermo, riporta così il volere dei monarchi di “cacciare”gli ebrei dalla Sicilia e da altre regioni del sud. Gli ebrei che lasciarono Palermo furono 26mila, risalirono la penisola verso Napoli, altri andarono verso il Magreb e Salonicco. Vennero confiscati tutti i beni agli ebrei che vivevano in Sicilia, nelle 52 Giudecche sparse nell’isola: ebrei che parlavano siciliano e pregavano in ebraico.
Numerose le testimonianze della comunità ebraica del tempo che si insedia fin dagli antichi Romani sotto l’Impero di Giulio Cesare. Questa terribile Shoà, fece 441 vittime tra gli ebrei che scelsero di rimanere in Sicilia: al Tribunale della Santa Inquisizione di Palazzo Steri furono processati e giudicati perché fingevano di essersi riconvertiti mentre invece praticavano la religione ebraica. Quelli che restarono dovettero versare il 45% dei propri beni alla Corona di Spagna e coloro che partirono, portarono via solo una veste e pochissime cose. I reperti che documentano questa storia sono stati ritrovati a Siracusa, a Marsala, al Castello Ursino di Catania, alla Chiesa della Maggiona e si suppone, che a Palazzo Marchesi, le vasche medievali ritrovate, siano quelle che gli ebrei usano per la purificazione delle donne e per la conversione all’ebraismo.
La d.ssa Ancona ha poi spiegato i 7 principi di Noè, i diritti e i doveri che regolano la vita degli ebrei, facendo un passaggio sulla preghiera, sulla funzione del Rabbino che è un maestro poiche l’ebreo ha un contatto diretto con Dio, di come si svolge il sabato ebraico che inizia il venerdì al tramonto con l’accensione di due ceri per mano della madre. Gli ebrei in Sicilia, nel ‘400, lavoravano il ferro, l’argento, i coralli, la seta. I mercanti di stoffe ebrei erano famosi nel regno e nel resto dell’Europa. La d.ssa Ancona conclude il suo intervento ricordando i suoi nonni, morti nei campi di concentramento. Prima della proiezione del documentario sulla Shoà, chiude gli interventi Nuccio Pepe, medico scrittore, che parla del suo libro Il dubbio” edito da Torri del Vento, dove racconta la storia dell’amicizia con il suo amico fraterno Natham.
I nonni di Natham morirono nei campi di concentramento, nei forni crematori e subirono torture gravissime prima di finire nelle camere a gas: al nonno venivano piantate nel suo corpo le radici di piante per testare se crescessero, la nonna, donna bellissima, per evitare le violenze carnali dei nazisti, si sfregiò il volto con il vetriolo. In questo libro, si racconta di un ritrovamento avvenuto negli anni 2000 a Vienna: al numero 21 di Herk Grasse furono ritrovati 800 documenti, un Menorà, il candelabro ebraico, le Torot (le bibbie): documenti conservati da una famiglia ebraica che sperava di farvi ritorno con la fine della guerra. “Quei drammi – dice Pepe – ricadono ancora sulle generazioni a venire degli ebrei trucidati con l’Olocausto, come se essere sopravvissuti fosse una colpa. Ricordo, quando sono stato negli anni ’70 nel campo di concentramento, avevo i conati di vomito alla vista di quelle montagne di capelli, di scarpe: chiesi in giro e nessuno “ricordava” che ai tempi ci fosse stato un tale sterminio. Io sono un chirurgo e conosco l’odore terribile della carne umana bruciata: mi chiedo come sia possibile negare questa atrocità”.