Comincia la sua collaborazione a Il Sud On Line lo storico napoletano Amedeo Feniello. Il suo ultimo libro, “Dalle Lacrime di Sybille, Storia degli uomini che inventarono la banca”, pubblicato da Laterza, sarà presentato il 27 gennaio a Napoli presso la libreria Feltrinelli. Feniello è stato di recente, Directeur d’ètudes invitè presso l’Ecole des hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi ed ha insegnato Storia del Mediterraneo nel Medioevo presso la Northwestern University con sede a Evanston, Chicago. Autore di numero saggi e volumi sulla società e l’economia dell’Italia meridionale medievale, ha pubblicato nel 2011, sempre per Laterza, “Sotto il segno del leone, Storia dell’Italia musulmana”.
1. Numeri
Un amico mi chiede: “ma come ti viene di studiare il medioevo… Di tante epoche l’unica immagine che mi resta in testa è quella del pitale di Troisi”. Non mi viene proprio da ridere ma di rispondergli, in malo modo, che il medioevo vale la pena di studiarlo almeno per una cosa: per i numeri. I numeri? Si proprio quelli che usiamo noi: 0,1,2,3,4,5,6,7,8,9. Prima del medioevo non si conoscevano. I romani, ad esempio, non sapevano cosa fosse lo Zero; cosa fossero le cifre; cosa fosse la numerazione posizionale, dove i numeri assumono valori diversi a seconda del posto che occupano (leggendo da destra, unità, decine, centinaia, migliaia…). Provateci a fare una sottrazione o una somma con i numeri romani, con quella sfilza di I,V,X,C,D,M. O una moltiplicazione o una divisione. E poi un milione, come facevano a scriverlo? Non lo scrivevano, perché non riuscivano nemmeno ad immaginarlo numericamente.
Questo fino al 1202 quando un pisano, Leonardo Fibonacci, pubblica il suo Liber abaci che rivoluziona totalmente il nostro modo di rappresentare il mondo dei numeri, di contare e di calcolare. E’ lui che introduce in Occidente il sistema decimale, la sequenza 1-9, e lo Zero: termine che ha il sapore del vento, lo Zefiro. Ma va oltre. Il suo ingegno lo portò a riflettere sull’ammortamento finanziario ad interesse composto; sull’estrazione delle radici quadrate e cubiche; sulle progressioni e sulla regola del tre; sull’algebra; fino alla celeberrima sequenza di Fibonacci, questa misteriosa serie di cui si trovano le radici nell’antica sapienza indiana e che oggi i matematici legano ai codici più intimi dell’universo…
Ma dov’è che Fibonacci ha imparato queste cose? Non in Italia ma in nord Africa, nella città portuale di Bugia, in un’altra epoca, quando noi italiani eravamo i barbari sottosviluppati e le popolazioni del nord Africa invece erano quelle più avanzate e civili. Gente anche pronta a diffondere le proprie conoscenze, senza riserve, anche ad uno straniero, come racconta anche lo stesso Fibonacci ricordando la sua esperienza di studente. Che impara e diffonde questo nuovo concetto, quello di Zero. Un concetto davvero straordinario e magico, che permette, per dirla con Shakespeare, di trasformare una semplice linea in un milione. E il cui cammino in Europa non fu del tutto facile se molti, come ad esempio Guglielmo di Marlmesbury, considerarono a lungo lo Zero pericolosa magia saracena. E alcuni continuarono a pensarlo ancora nell’avanzato Cinquecento. Ma ormai era troppo tardi: a quel momento, quel piccolo, strambo segno a forma di luna piena ne aveva già fatta tanta di strada. Simbolo di una rivoluzione che era in atto e che, in Europa, avanzava. Quella dell’economia, del commercio e della finanza.
Amedeo Feniello