E’ davvero incredibile come i falsi miti sul Mezzogiorno possano influenzare intere generazioni e condizionare l’opinione pubblica. Si è sempre pensato al Sud come un pozzo senza fine, capace di assorbire centinaia di miliardi di fondi pubblici senza muoversi di un centimetro. La realtà, invece, è profondamente diversa. Può sembrare un paradosso, ma è sempre stato così. E su questo dato tutti gli economisti sono d’accordo: la spesa pubblica totale, rispetto alla popolazione, è sempre stata più intensa nelle regioni a livello di sviluppo maggiore. Storicamente, la presenza di dipendenti pubblici nel Mezzogiorno, sempre calcolati rispetto alla popolazione, non è mai stata particolarmente più alta che nella media nazionale; sempre però con differenze da territorio a territorio.
Tutto questo ha avuto un effetto concreto sulla qualità della vita e dello sviluppo del Sud.
Per la Svimez, l’associazione per lo sviluppo del Sud, la dotazione di risorse finanziarie, espressa in termini di spesa pro capite, è più bassa che nel resto del Paese e nel corso della recessione ha mostrato un’evoluzione meno favorevole. Il divario al 2014 è di circa 25 punti percentuali rispetto al Centro-Nord.
In particolare, lo svantaggio del Mezzogiorno è molto marcato nei settori della Formazione, Cultura e Ricerca e Sviluppo, Sanità e Previdenza. Questi importanti strumenti della politica di welfare non riescono a supportare adeguatamente la fragile condizione socio-economica delle famiglie e dei lavoratori più deboli. È solo nella protezione ambientale, e in parte nei trasporti e nelle telecomunicazioni che la spesa pro capite nel Mezzogiorno risulta relativamente più elevata, anche se la qualità dei servizi erogati non è sempre adeguata ai fabbisogni dei cittadini.
Rimane un vulnus la qualità dei servizi sociali nel Mezzogiorno, decisamente inferiore a quelli erogati nel resto del Paese; in particolare peggiorano i servizi in Abruzzo, nel Molise, in Puglia e in Calabria; migliorano in Campania, Basilicata, Sicilia e Sardegna.