Antonio Troise
Poveri Millenial. Tutto si può dire sui giovani nati a cavallo degli anni duemila tranne che siano fortunati. Sono stati le vittime predestinate della più lunga e grave crisi dal dopoguerra. Rischiano di saltare a piè pari l’appuntamento con il mercato del lavoro. Per trovare casa devono sudare sette camicie per trovare un istituto disposto a concedere loro un po’ di fiducia e sottoscrivere un mutuo. La pensione, poi, è addirittura un miraggio. Se pure riusciranno ad agguantarla, sarà molto modesta e insufficiente a garantire una vecchiaia al riparo dalla povertà. Insomma, c’è poco da fare: rispetto ai propri nonni, nati durante gli anni del boom, e rispetto ai propri genitori, cresciuti all’ombra della spesa facile e del debito pubblico, gli under 24 sono i figli della crisi e destinati a fare i conti con un mondo più povero. I dati diffusi ieri dalla Caritas sono più che eloquenti. Oggi, un giovane su dieci vive in condizioni di povertà assoluta. Cinque volte in più rispetto a quello che accadeva appena dieci anni fa. Senza contare, poi, la situazione drammatica sul fronte del mercato del lavoro: in media, un giovane su tre è a spasso. E, nel Sud, la percentuale sale addirittura al 50%. Nello stesso periodo il divario di ricchezza fra giovani e anziani si è ampliato. La ricchezza media delle famiglie guidata da un under34 è calata del 50%, quella dove il capo famiglia ha almeno 65 anni, è aumentata del 60%.
Ma la grande recessione non ha colpito solo in Italia. La generazione nata negli anni duemila, infatti, si legge nel rapporto sulla ricchezza mondiale elaborato da Credit Suisse, “oltre ad essere colpita dalle perdite di capitale dovute alla crisi finanziaria globale, è sposta direttamente alle sue conseguenze: disoccupazione, maggiori disparità di reddito, aumento dei prezzi degli immobili, inasprimento delle norme sulle ipoteche e, in alcuni paesi, aumento significativo del debito studentesco. Rispetto alle generazioni precedenti, avrà inoltre un accesso meno agevole alla pensione”. In Italia, ad esempio, secondo le ultime previsioni, rischiano di dover lasciare il lavoro a oltre 70 anni e con assegni da fame a causa della mancanza di contratti stabili. Come a dire, oltre al danno anche la beffa.
Ma non basta. Per quanti sforzi facciano non riusciranno mai a raggiungere i livelli di ricchezza dei propri genitori. Basta vedere quello che sta succedendo negli Stati Uniti dove il patrimonio medio detenuto dalle persone fra i 30 e i 39 anni (72.400 dollari) è esattamente la metà rispetto alla fascia di popolazione che ha una decina di anni in più.
Una generazione sfortunata che, rispetto ai nonni, si indebita anche molto di meno: segno che ha anche meno fiducia sul futuro rispetto a genitori e nonni. Sono pochi quelli sono riusciti a prosperare nonostante tutto, ma sono concentrati per lo più in Cina o negli altri Paesi emergenti. Qualche spiraglio potrebbe aprirsi con le sfide della sharing economy. O con un generale miglioramento degli stili di vita. Ma niente a che vedere con i cosiddetti baby boomer, i cui patrimoni, si legge nel rapporto Credit Suisse, “hanno beneficiato di una serie di fattori fra cui circostanze ampiamente favorevoli legate alla crescita dei prezzi sui mercati immobiliari e azionari”. Acqua passata. I millenial dovranno abituarsi a stringere la cinghia e, probabilmente, passeranno alla storia come la generazione dell’austerity permanente. Con un ulteriore aggravio: dovranno accollarsi l’enorme debito pubblico accumulato dai propri genitori.
Fonte: Il Resto del Carlino