Alessandro Corti
Il cantiere pensioni è aperto. La Legge di Bilancio è, infatti, l’ultima occasione per cercare di alleggerire gli effetti della legge Fornero e venire incontro alle richieste delle parti sociali. Sulla necessità di qualche correttivo, del resto, il consenso è unanime. Il rischio vero, però, è un altro: quello di cadere dalla padella alla brace. E’ vero infatti che la riforma ha un vizio di origine, quella di essere nata sull’onda lunga della crisi finanziaria e dettata più da Bruxelles che da Roma. Ma è anche vero che cambiare le regole a ridosso delle elezioni e con partiti già impegnati nelle campagna elettorale potrebbe essere un rimedio peggiore del male che si vuole curare. Soprattutto perché rischia di alimentare nuove ingiustizie piuttosto che sanare le più evidenti iniquità dell’attuale sistema.
Un caso per tutti è quello dei lavori usuranti. Attualmente le categorie che godono di particolari deroghe sono poco più di una decina, dai macchinisti alle maestre d’asilo. Lavori per i quali è davvero impensabile prolungare oltre un certo limite l’età pensionabile. L’idea, però, è di allargare la platea delle deroghe, inserendo altre attività nelle “short list” delle occupazioni considerate unanimemente più pesanti. Il problema è tutto qui: quali saranno i criteri che serviranno a valutare se un lavoro è effettivamente usurante o no? Non c’è il rischio che l’allargamento indiscriminato della platea non sia il solito italico modo per far rientrare dalla finestra quello che è uscito dalla porta, ovvero lo stop all’innalzamento dell’età?
L’ultima parola sulle categorie che potranno andare in pensione prima dei 67 anni previsti nel 2019 toccherà, nei prossimi giorni, a governo e sindacati. Ma un fatto è certo: tutte le decisioni dovranno non solo essere trasparenti ma essere prese, in primo luogo, nel segno dell’equità. Le risorse a disposizione, infatti, sono poche. Il sentiero dei conti pubblici, come ama ripetere il ministro dell’Economia, Padoan, è stretto. Proprio per questo sarebbe estremamente dannoso ripercorrere la vecchia strada delle “deroghe”, creando in nome di un ipotetico lavoro usurante nuove categorie di “privilegiati”. Più o meno simili a quelli che un giorno sì e l’altro pure, tutti i partiti (e i sindacati) dichiarano di voler combattere.
Ancora una volta, insomma, si rischia di affrontare il tema delle pensioni perdendo di vista gli interessi più generali e favorendo, invece, interessi di parte o, peggio ancora, elettorali. L’esatto contrario di quello che servirebbe per rimettere mano alla riforma della previdenza, evitando fughe in avanti insostenibili per i nostri conti pubblici ma anche cercando di non scaricare sulle generazioni future le attuali pensioni.