Partenza in salita, con rinvio del voto finale a martedì imposto dai grillini, per la legge elettorale proporzionale con sbarramento al 5% che – pur sostenuta da Pd, FI, M55 e Lega – supera non senza affanno e con molte defezioni i primi due voti segreti alla Camera. Mentre continua l’assedio a Matteo Renzi e al partito del «voto anticipato a tutti i costi». Il timore dei renziani e di Matteo Renzi, che lo ha espresso pubblicamente, è che l’accordo salti davvero. «Magari non alla Camera, nonostante i voti segreti. Ma di là, al Senato». Le fibrillazioni dei 5stelle, rese evidenti dai numeri dei franchi tiratori ieri a Montecitorio, rendono il percorso meno sicuro fin dall’inizio, aprono spazi al partito del non voto che conta truppe svelate e nascoste traversali agli schieramenti. Basta un incidente, anche se Beppe Grillo conferma l’abbraccio, e il percorso si ferma. Nel bel mezzo della battaglia spietata per il controllo del Movimento, Luigi Di Maio spiana le barricate degli ortodossi con una telefonata. «Beppe – scandisce al cellulare con Grillo – noi questa legge dobbiamo portarla a casa. Abbiamo fatto i conti, eleggeremo almeno 220 deputati, se va bene anche 250. Ce ne mancherebbero meno di 70 per governare». Il comico genovese si convince. È il segnale, il via libera per soffocare i fuochi di rivolta degli ortodossi. Esultano Di Maio e Davide Casaleggio, gli sponsor del “patto” con Matteo Renzi. Arranca Roberto Fico, il capo degli “antigovernisti a cinquestelle”. Adesso soltanto la Rete può sconfessare la linea del “reggente” di Pomigliano D’Arco