Politica Interna
Sinistra divisa. Doveva essere il giorno della verità, per Campo progressista. Ma ieri, dopo mesi di riflessione per «tradurre l’utopia in progetto», Giuliano Pisapia si è limitato a ribadire le sue parole d’ordine. La novita è che la formula di un «nuovo centrosinistra per battere le destre populiste» comincia a stare stretta al popolo di Pisapia, che guarda al cantiere di una lista unitaria guidata da Pietro Grasso. L’auditorium Antoniano è pieno per metà, 300 persone e, in prima fila, Laura Boldrini. Il saluto con il padrone di casa è affettuoso, assai più del congedo. C’è un solo problema che la forza nascente alla sinistra del Pd non ha: la mancanza di leader. Le truppe scarseggiano; i generali abbondano. E non uno la pensa come l’altro. A fronte di infinite difficoltà, l’esercito della nuova sinistra ha due certezze: un’ampia pluralità di posizioni; e una vasta schiera di condottieri. Ognuno si considera il comandante in capo, nonché l’ideologo. Peccato che nessuno abbia le stesse idee degli altri. Ieri, ad esempio, Pisapia ha detto che bisogna fare l’alleanza con il Pd, e la Boldrini ha risposto che al momento non si può fare l’alleanza con il Pd.
Centrodestra. Con la nuova legge elettorale il modello siciliano può essere esportato in tutta Italia favorendo il centrodestra. Il successo di Nello Musumeci alle Regionali in Sicilia ha posto in evidenza la debolezza del Centrosinistra. Ma anche, ovviamente, la capacità competitiva del Centrodestra. Il diverso rendimento dei due poli si spiega con la differente capacità di coalizione. Prima causa della sconfitta del M5s, irriducibile a ogni alleanza. Mentre sull’altro versante, l’accordo fra il Pd e le diverse formazioni di Sinistra è risultato impossibile. Questa situazione non appare condizionata da specifici fattori territoriali. «Questo centrodestra è in evoluzione. E non ci saranno soltanto i democristiani che porteranno lo scudo crociato. Sta per nascere anche una forza federata d’ispirazione cossighiana…». Nella geopolitica dei centristi che stanno per posizionarsi ai blocchi di partenza delle prossime elezioni non ci sono soltanto i soliti noti. A fari spenti, mentre l’attenzione dei più si concentra sulla diaspora tra ex dicci, l’ex ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello confida agli amici l’orizzonte del nuovo progetto che sta per prendere forma. «D’ispirazione cossighiana», quindi ancorato alle radici cristiane ma anche laico, di governo ma anche di battaglia, riformista ma a suo modo anche rivoluzionario, com’era appunto il «picconatore» Cossiga. I «picconatori» saranno la quinta gamba del centrodestra. Centristi, sì. Ma non troppo
Politica Estera
Il premier libico dimissionario. Il premier libanese dimissionario, Saad Hariri, parla per la prima volta dopo il discorso di dimissioni da lui pronunciato lo scorso 4 novembre da Riad. Lo fa ancora dall’Arabia Saudita, in un’intervista alla tv libanese Al Mustaqbal, in cui assicura che la sua decisione di dimettersi è stata presa senza pressioni esterne. Promette di tornare a Beirut «molto presto». Hariri garantisce di essere libero in Arabia Saudita e giustifica la sua assenza dicendo che sta «prendendo misure di sicurezza» per proteggersi: il principe saudita bin Salman «è un fratello» e «non sono ostaggio». Migliaia di persone l’hanno invocato ieri mattina correndo per le strade di Beirut: per anni, la maratona era stata un appuntamento anche per lui, Saad Hariri, il premier libanese che da pochi giorni ha lasciato il suo incarico. Ma ieri Saad Hariri non era a Beirut, prigioniero de facto, come ha detto in un comunicato il presidente Michel Aoun, dell’Arabia Saudita di Mohammed Bin Salman. Così, migliaia di persone hanno corso a nome suo, indossando magliette o cappellini con la scritta “Vogliamo indietro il nostro primo ministro” o “Saad ti aspettiamo”: un’insolita dimostrazione di unità in un Paese dove le divisioni per gruppi politici e religiosi sono all’ordine del giorno.
Trump e la Cia. Gli ex vertici dei servizi segreti sono rabbiosamente preoccupati. John Brennan, già direttore della Cia: «Per qualche motivo il presidente Trump sembra intimidito da Putin, impaurito da quello che potrebbe dire o che potrebbe venire fuori dalle indagini (sul Russiagate, ndr). Sta dimostrando di poter essere condizionato se qualcuno fa leva sul suo ego o se punta sulle sue insicurezze. Questo è molto, molto inquietante, un pericolo per la sicurezza nazionale». Aggiunge James Clapper, fino al 20 gennaio 2017 alla testa del National Intelligence, la struttura cui fanno capo le 17 agenzie americane: «Il fatto che Trump creda più alle parole di Putin che a quelle dell’intelligence è immorale. Penso che i cinesi e i russi siano convinti di poterlo prendere in giro». «Se fosse capace di provare vergogna, Trump dovrebbe vergognarsi di avere insultato patrioti come James Clapper e John MacCain nella giornata che negli Usa commemora i reduci di guerra». L’ex direttore della Cia John Brennan si è lasciato andare ad un raro sfogo di rabbia di fronte alle confuse dichiarazioni del presidente sul Russiagate.
Economia e Finanza
L’economia italiana. Pil in crescita dell’1,5 per cento, 22,9 milioni di occupati, consumi oltre mille miliardi e 800mila case vendute. Si presentava così l’Italia nel 2007 alla vigilia di una crisi che dal sistema finanziario ha contagiato l’economia reale. La caduta è stata pesante e dopo l’anno nero del 2013 lo stato di salute del paese ha iniziato lentamente a migliorare, ma le tracce del malessere si intravedono ancora oggi. Dieci anni dopo a che punto siamo nel percorso di risalita? II Sole 24 Ore ha messo sotto la lente 16 indicatori con il fermo immagine al 2016 per misurare la distanza dall’anno “zero”. Proprio la settimana scorsa la Commissione europea ha alzato le stime sul Pil: rispetto allo 0,9% previsto a marzo il nostro paese crescerà secondo Bruxelles dell’1,5%, lo stesso ritmo di dieci anni fa, dopo l’1% del 2016. È presto però per cedere a facili trionfalismi, perché siamo il fanalino di coda nella Ue, lo stesso esecutivo comunitario si aspetta una frenata per il 2018, il ritmo di recupero non è stato per tutti lo stesso e presenta numerose sfaccettature. L’Unione europea, da molti anni, non perde occasione per ricordare a ogni nostro governo che «il sistema fiscale dell’Italia non favorisce la crescita e l’efïìcienza dell’economia». Con altrettanta ostinazione, Commissione e Consiglio raccomandano da tempo misure finalizzate a trasferire il carico fiscale sul lavoro e sulla produzione verso imposte meno penalizzanti per la crescita, rispettando il principio della neutralità di bilancio.
Pensioni. L’ultima offerta che farà oggi il governo ai sindacati per cercare di chiudere un accordo sul delicato dossier pensioni prevede sia la proroga al 2019 dell’Ape social, sia un ammorbidimento dei requisiti per entrare a far parte della lista dei mestieri che verranno esentati dall’innalzamento dell’età della persone a 67 anni a partire dal 2019. I mestieri resteranno sempre i 15 indicati giovedì scorso (gli 11 gravosi già inseriti nell’Ape social più marittimi, addetti alla pesca, operai agricoli e siderurgici), ma recependo le obiezioni dei sindacati che contestavano la credibilità delle stime dell’esecutivo su questo intervento (15-20 mila beneficiari) i requisiti di accesso verranno allentati. I nostri figli e nipoti lo ricorderanno come il più grande tsunami demografico che si sia mai abbattuto sulla società italiana. E a causa sua saranno costretti a rimetter mano per l’ennesima volta alla riforma previdenziale: lo dice lo stesso Inps.