Politica interna
Berlusconi: speranza alla corte europea. Prima e unica udienza ieri a Strasburgo sulla decadenza del mandato di senatore e la ineleggibilità di Berlusconi, sancite in base alla legge Severino. Il governo italiano: nessun diritto violato. Il leader di Forza Italia: «Sono fiducioso. Io vado avanti comunque, e vincerò le elezioni».
Il grande giorno dell’udienza di Strasburgo è una giornata di vacanza fuori stagione per Silvio Berlusconi. Rilassato e fiducioso, il leader di Forza Italia trascorre questi giorni nella beauty farm nel cuore di Merano. Un hotel esclusivo quanto riservato che già l’ha ospitato quest’estate ed è ormai diventato per il Cavaliere un luogo del cuore, oltre che del fisico. Quattro giorni di remise en forme, di ritiro precampionato. Relax, esercizio e dieta controllata prima dell’inizio delle ostilità elettorali. Lontano dal «teatrino della politica», come a Berlusconi piaceva chiamarlo qualche anno fa, ma con il telefono a portata di mano per avere ragguagli dagli avvocati che si trovano a Strasburgo. La sentenza non arriverà presto, sicuramente non prima delle elezioni di primavera, tuttavia non ci sarà una bocciatura a fare calare il sipario sulla campagna elettorale del Cavaliere
Pd. La rottura è irreversibile. Prima delle elezioni non c’è vinavil che possa incollare i cocci del centrosinistra. Roberto Speranza lascia solo «uno spiraglio», attraverso il quale dovrebbero passare un Renzi dimissionario e la reintroduzione dell’articolo 18, eventi lontani anni luce dal cielo del Nazareno. E a sera Pier Luigi Bersani poggia la «pietra tombale» su un dialogo mai nato: «II rinvio in cornmissione della nostra proposta sull’articolo 18 mette il suggello a mesi di schiaffi». Fine dei giochi. Per l’ex segretario il centrosinistra «ha tagliato il ramo su cui era seduto» e Speranza, certifica il nulla di fatto dell’incontro tra il pontiere dem Piero Fassino e la delegazione della sinistra: «Se il Pd non cambia, l’unità è solo un’alchimia elettorale». Dopo molti incontri l’ex segretario dei Ds ha visto anche la delegazione di Mdp e Sinistra italiana, ricevendo dai capigruppo la conferma del no a qualsiasi forma di intesa prima del voto. A questo punto, a meno di ripensamenti, è ufficiale che la sinistra andrà al voto del 2018 divisa in due tronconi.
Politica estera
Ergastolo al generale Mladic. Il generale Ratko Mladic, ex comandante delle truppe serbobosniache e responsabile del massacro di Srebrenica è stato condannato all’ ergastolo dal Tribunale dell’Aja per i crimini nella ex jugoslavia. La condanna all’ergastolo di Mladic da parte del tribunale dell’Aja per genocidio e crimini diguerra solo inapparenza chiude il cerchio di una tragedia. Nelle due entità che cornpongono la Bosnia-Erzegovina-la Republika Srpska (Rs), a maggioranza serba, e la Federazione croato-musulmana (Bh) – la pensano in maniera completamente opposta. Per la componente serba si tratta della conferma di un accanimento antiserbo, per i musulmani è solo la giusta pena per i suoi crimini feroci. La condanna di Mladic dovrebbe rappresentare invece l’inizio di una nuova riflessione sul futuro dei Balcani. «Sono menzogne, tutto quello che dite sono menzogne». Ratko Mladic nega fino all’ultimo di essere «il macellaio di Bosnia», di essere responsabile dell’assedio di Sarajevo e del genocidio di Srebrenica perpetrato contro i bosniaci più di vent’anni fa, durante la guerra civile nell’ex Jugoslavia. Il Tribunale penale internazionale dell’Aia però ha confermato i reati di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, condannando l’ex capo delle milizie serbe all’ergastolo. La sentenza giunge al termine di una giornata convulsa, contraddistinta da interruzioni e attacchi verbali dell’imputato nei confronti dei giudici, che hanno letto il verdetto in sua assenza dopo essere stati costretti a espellerlo dall’Aula. Mladic affronta il Tribunale senza alcun timore, e addirittura lo sfida. Entra in Aula sorridendo e mostrando ai presenti e alle telecamere il pollice alzato.
Siria: Vertice Russia-Iran-Turchia a Sochi. Russia, Iran e Turchia si sono ormai ufficialmente ritagliati un ruolo di primaria importanza nella ricerca di una soluzione al conflitto in Siria. E in vista di una sconfitta militare dell’Isis che appare ormai imminente, Putin, Erdogan e Rohani si sono riuniti ieri a Sochi per discutere del futuro del Paese mediorientale e trovare un compromesso che li soddisfi. I tre presidenti hanno interessi diversi e spesso divergenti in Siria. Ma sembrano decisi ad andare avanti insieme e spartirsi il bottino da buoni amici senza pestarsi troppo i piedi. La priorità, secondo quanto dichiarato dal presidente russo, sarebbe quella di mantenere l’integrità territoriale e la sovranità del paese. I tre hanno promosso la formazione di un “Congresso per il dialogo nazionale siriano” per discutere i nuovi parametri statali e una nuova Costituzione che sia base per le elezioni. Putin ha annunciato di voler «riunire al tavolo dei negoziati i delegati di vari partiti politici, i rappresentanti dell’opposizione interna ed esterna, diversi gruppi etnici e confessionali».
Economia e finanza
Ue sulla manovra. La Commissione europea ha giudicato ieri il progetto di bilancio italiano «a rischio di non rispetto del Patto di Stabilità». Ciò detto, chiedendo all’Italia di assicurare la prevista riduzione del deficit e di non annacquare recenti riforme come quella pensionistica, ha comunque preferito rinviare un giudizio compiuto sulla manovra per il 2018 alla primavera prossima, quando verificherà il rispetto della regola che prevede una riduzione graduale ma sostanziale del debito pubblico. «Il debito italiano persistentemente elevato è fonte di preoccupazione», spiega la Commissione. In una lettera inviata al governo italiano, il vice presidente Valdis Dombrovskis e il commissario agli affari monetari Pierre Moscovici hanno informato l’Italia che essi intendono valutare nuovamente «il rispetto della regola del debito nella primavera del 2018, sulla base dei dati validati relativi al 2017 e alla luce del bilancio definitivo che verrà adottato dal Parlamento italiano alla fine di quest’anno». La manovra correttiva è collocata dopo le elezioni di primavera e questo lascia un po’ di margine all’esecutivo, ma si capisce che la strada d’ora in poi sarà in salita. Viene smentita, in altre parole, una certa retorica consolatoria del governo, in base a cui il bilancio statale fa progressi e con l’Europa non esistono problemi particolari. A quanto pare, non è così. È come se a Bruxelles — per ragioni soprattutto politiche — avessero deciso di sollevare il velo che nasconde la realtà. Rivelando che il “populismo”, usato come argomento per colpire l’avversario di comodo (da Salvini ai Cinque Stelle), è in verità un male molto più diffuso, da cui quasi nessuno è esente.
Tim. Cade un tabù, il dossier sulla rete potrebbe approdare al consiglio di amministrazione di Tim già il prossimo 5 dicembre. Sul tavolo ci sarebbe l’avvio di uno studio interno sui pro e contro della separazione e creare cosi una società dedicata all’infrastruttura. Sicuramente una prova di buona volontà dinanzi al governo ma soprattutto un impegno da offrire alle autorità di mercato – Antitrust e Agcom – con una valutazione che sarà guidata da una sola stella polare: il vantaggio per il business e gli azionisti. Al momento, come ha sempre rivendicato l’amministratore delegato Amos Genish, in una scala che va da 1 a 8 nel livello di separazione tra la società e la sua rete, Tim – che ha creato la divisione Open Access – è al gradino numero 5, dove si garantisce l’equivalenza di accesso a tutti gli operatori, con un sistema cieco per l’ex monopolista. Il livello massimo in Europa continentale, dove la maggior parte dei concorrenti non supera i livelli 2 o 3. Ma vale la pena comunque mettere allo studio quali potrebbero essere le conseguenze, soprattutto i vantaggi, nel salire di livello. Tocca al sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, rompere il ghiaccio e, anzi, segnare il grande disgelo: era dal 2014 che un membro del governo non partecipava a un convegno di Tim, come quello di ieri a Torino. Giacomelli, il vento è cambiato? «Credo che dal punto di vista politico siano molto significative le parole che utilizza l’ad di Tim, Amos Genish, per descrivere la futura Tim». Sarebbe a dire? «La realtà è che abbiamo due fotografie che testimoniano una Telecom molto cambiata. Quattro anni fa e per lungo tempo era una società che andava sostenendo che la fibra non serviva perché mancava domanda. Oggi invece Tim, con Genish, si propone come leader della digitalizzazione e della modernizzazione del Paese. Non è poco. Genish va oltre il tema dell’infrastruttura: parla di ecosistema digitale, di collaborazione con le università, con le imprese». Dal muro contro muro alla piena sintonia in poche settimane. Come è possibile? «La sua è una rappresentazione un po’ schematica».