Politica Interna
Primarie Pd. Il Pd, dopo una estenuante mediazione, ha deciso: domenica 30 aprile, militanti e simpatizzanti del partito saranno chiamati ai «gazebo» delle primarie per votare il segretario nazionale. Poi il nuovo leader dem (in lizza Matteo Renzi, segretario uscente, il Guardasigilli Andrea Orlando, il governatore pugliese Michele Emiliano) verrà proclamato dall’assemblea nazionale il 7 maggio, giusto in tempo per consentirgli di depositare simbolo e liste del Pd in vista delle Amministrative dell’11 giugno (data ancora non formalizzata dal governo). Per le diverse anime del partito — con i renziani che puntavano al 9 aprile e gli altri al 7 maggio — quella del 30 aprile «rappresenta una mediazione ragionevole». Sul congresso piomba anche il caso Emiliano. Il governatore della Puglia, sfidante di Renzi, nell’ottobre 2014 venne invitato da Luca Lotti, fedelissimo dell’ex premier, a incontrare l’imprenditore farmaceutico toscano Carlo Russo. «Lo conosciamo, incontralo», scrisse Lotti a Emiliano che ha conservato i messaggi sull’iphone. Russo, Tiziano Renzi, di cui è amicissimo, e Lotti sono indagati nell’inchiesta sugli appalti Consip.
Lo stadio della Roma. Sarà un progetto dimezzato ma lo stadio di Tor di Valle si farà. La Roma ha accettato la proposta della giunta Raggi, che arriva alla fine di una giornata complicata, anche per il malore che colpisce la sindaca. E’ lei stessa ad annunciare l’accordo: «Tre torri eliminate; cubature dimezzate, addirittura il 60% in meno per la parte relativa al Business Park; abbiamo elevato gli standard di costruzione a classe A4, la più alta al mondo; mettiamo in sicurezza il quartiere di Decima per gli allagamenti; realizzeremo una stazione nuova per la ferrovia Roma-Lido». Prima di scendere in piazza parla al telefono con il presidente della Roma calcio James Pallotta: «Vi ringrazio per la disponibilità dimostrata e per la scelta di cambiare il progetto per venire incontro alle nostre richieste. Possiamo ripartire».
Politica Estera
Mattarella in Cina. La situazione è «a dir poco complessa» e per uscirne non servono «azioni unilaterali disordinate e frenetiche». Perché è di «stabilità» che «c’è maggiore bisogno»: e «non soltanto al livello bilaterale» delle relazioni internazionali. I ragazzi della Fudan University venuti per la lectio magistralis di Sergio Mattarella ascoltano la traduzione in cuffia. La Via della Seta evoca rapporti economici e culturali ed è il filo conduttore delle relazioni rafforzate tra Italia e Cina che si stanno delineando. Ma la lectio magistralis intitolata «Le nuove Vie della Seta» che Sergio Mattarella ha tenuto ieri è stata un discorso fortemente politico e appassionato. Il capo dello Stato ha parlato di «tendenze a involuzione, chiusura e unilateralismo», di «azioni unilaterali disordinate e frenetiche», del rischio di un «ordine globale vicino al punto di rottura». E ha proposto come antidoto le Vie della Seta che legano territori e attraversano frontiere, abbattono diffidenze, fanno fluire merci ma anche beni immateriali di conoscenza e curiosità reciproca. Un discorso in difesa della globalizzazione.
Trump. Donald Trump promette un massiccio riarmo nucleare ricevendo dure repliche da Mosca che minaccia un ritorno alla Guerra fredda, mentre infuriano le polemiche sui contatti di vari collaboratori del presidente con emissari russi nella campagna elettorale e su un tentativo della Casa Bianca di spingere l’Fbi a contattare gli organi di stampa per ridimensionare il caso. I «federali» non l’hanno fatto e la vicenda è deflagrata ieri in un altro scontro fra Trump e la stampa, col presidente che ha minacciato interventi contro i media che pubblicano notizie ricevute da fonti riservate. Poco dopo, il suo portavoce Sean Spicer ha escluso da un briefing le testate più critiche con il presidente: dal New York Times alla Cnn. All’incontro, per solidarietà con le testate escluse, hanno rifiutato di prendere parte anche Ap e Time.
Economia e Finanza
Intesa – Generali. Intesa Sanpaolo dice addio al progetto di una possibile combinazione industriale con Generali. L’indicazione è arrivata ieri sera direttamente dalla banca guidata da Carlo Messina. Al termine di una verifica durata un mese esatto, il management della banca ha reso noto di aver «completato le valutazioni». E così, in «base alle informazioni allo stato pubblicamente disponibili» sul Leone, il gruppo non ha individuato le «opportunità» rispondenti ai criteri che erano stati posti come condizioni essenziali all’aggregazione. Ovvero quella «creazione e distribuzione di valore per i propri azionisti» che, nell’idea della banca, sono funzionali al mantenimento della solidità patrimoniale. Il passo indietro di Intesa, del resto, era nell’aria. Le indiscrezioni filtrate in gennaio sulle possibili mire di Ca’ de’ Sass sulla compagnia aveva spinto quest’ultima ad alzare le difese prendendo a prestito diritti di voto di Intesa pari al 3%.
Mediaset – Vivendi. Potrebbe allungarsi la lista degli indagati nella vicenda Vivendi-Mediaset. Dopo Bolloré, primo azionista di Vivendi, risulta indagato anche l’ad, De Puyfontaine. Nel mirino la possibile speculazione sul titolo Mediaset. Ma le mire di Vivendi sul Biscione risalirebbero già al 2015 quando Berlusconi disse un primo no a Bollorè. Ma non aveva lasciato cadere l’opportunità di stringere un’alleanza internazionale e soprattutto di trovare una soluzione al problema Premium. Insomma, l’idea dell’acquisizione sembrerebbe precedente allo scontro su Premium. E poi, visti i rastrellamenti audaci dei francesi su Telecom e su Mediaset, il ministro dello sviluppo Carlo Calenda ha preparato una nuova normativa per prevenire futuri incursioni su aziende italiane che operano in settori sensibili, mutuata sulla falsariga della normativa francese. «Se in Francia compri il 5% di una società – ha detto Calenda – devi dichiarare perché lo fai. Non siamo più fessi dei francesi».