Antonio Troise
E’ un po’ come un brusco risveglio dopo un bel sogno. La crescita dei posti di lavoro si è bruscamente arrestata, portando il tasso di disoccupazione italiano a superare la soglia dell’11%. Il terzo peggior risultato in Europa. La ripresa, che pure si intravede nell’economia reale, non riesce in sostanza a far segnare una vera e propria svolta sul fronte dell’occupazione. I dati che arrivano dal fronte dell’inflazione, con la nuova frenata dei prezzi, non fanno altro che confermare una crescita ancora troppo incerta e insufficiente per archiviare una volta per tutte gli otto anni della grande crisi.
Ma il dato, forse, più preoccupante fra i tanti snocciolati ieri dall’Istat, è quello relativo agli over 50 ancora al lavoro. Un record dopo l’altro: era dal ’77 che il tasso di occupazione nella fascia di età fra i 50 e i 64 anni non raggiungeva il 59,8%. Nel 2008 l’indice era pari al 47%, dodici punti in meno. Che cosa sta succedendo, allora, sul mercato del lavoro? Semplice: la crescita è direttamente collegata alla riforma Fornero e all’innalzamento repentino dell’età pensionabile. Una misura che ha l’immediato controcanto in quello che succede sul versante opposto del mercato del lavoro, quello dei giovani. Qui, il tasso di disoccupazione continua inesorabilmente a salire, attestandosi sul 35,7% e con punte che, nel Sud, arrivano anche al 50%. Un trend che di fatto rischia di teneri fuori dal mercato del lavoro un’intera generazione.
C’è di più: anche quando entrano in un ufficio o in fabbrica, difficilmente i giovani possono contare su un contratto stabile o a tempo indeterminato. La crescita annua degli occupati, rivela l’Istat, è legata quasi esclusivamente al lavoro a termine.
Certo, nessuno può pensare di tornare alla stagione dei baby pensionati, quando bastavano una ventina di anni e pochi mesi di contributi per lasciare il posto ad un disoccupato. Ma è anche vero che se l’età per la pensione continua a salire inesorabilmente, il ricambio generazionale sarà inevitabilmente molto più lento. E, soprattutto, non garantirà al nostro sistema economico quella forza e quella produttività che solo i più giovani sanno dare. Anche al di là delle indubbie competenze e capacità accumulate da chi ha molti anni di lavoro sulle spalle ma, proprio per questo, anche tanta energia in meno. Da questo punto di vista, il bonus occupazione per gli under 35, inserito nella manovra economica approdata al Senato rappresenta un segnale che va nella direzione giusta. Ma ora occorrerebbe anche intervenire sull’altro versante, quello delle pensioni, correggendo una riforma che ha guardato solo ad un aspetto del problema, quello della salvaguardia dei conti pubblici. Sapendo fin da ora che un Paese che non scommette sui propri giovani non scommette neanche su se stesso.