Di AMEDEO FENIELLO
Di lui, chi se ne ricorda più? Non esiste una piazza, una strada, un monumento o una targa in sua memoria. Niente che lo ricordi. Non solo a Napoli, ma in nessun altro posto d’Europa. Eppure, ha avuto più influenza sulla storia della cultura occidentale di altri mille. Si chiamava Giovanni. Il terzo Giovanni della dinastia dei Sergi, dal IX secolo duchi di Napoli. E’ nato più di mille anni fa, all’inizio del 900. Nel 928 subentra al padre. Fu un grande duca. Soprattutto un abile politico, la cui vicenda fu scandita dalla ricerca di un equilibrio tra il piccolo ducato che governava e i suoi vicini, i suoi potentissimi vicini: l’impero di Costantinopoli, i musulmani che terrorizzavano le coste, i longobardi, signori dell’entroterra.
Ma non è questa la storia di Giovanni che voglio raccontare. Ma un’altra, nota agli specialisti e, purtroppo, solo a loro. Perché Giovanni, nel 956, fa qualcosa di straordinario per il tempo in cui visse. Chiama a sé un suo collaboratore, l’arciprete Leone, verosimilmente il più colto dei suoi collaboratori, e lo manda a Costantinopoli. Niente di strano: si trattava di una missione diplomatica. Ma, allo stesso tempo, Giovanni gli ordina di fare un’altra cosa: di fare quello che noi oggi chiameremmo shopping. Però non ordina di comprare inutili souvenirs, ma di ricopiare libri. E di riportarli a Napoli. Libri che sarebbero serviti ad arricchire la biblioteca di Giovanni. La sua personale biblioteca.
Fermiamoci un attimo su questo dato, che ci fornisce la dimensione esatta di cosa potesse essere la Napoli del tempo rispetto ad altre regioni occidentali e poi proseguiamo. Di biblioteche, questo torno di medioevo è poverissimo. Ma di biblioteche di proprietà di un privato, praticamente non ne esistono, in nessun luogo. Invece, prima del fatidico anno Mille, Napoli, questo spicchio di città ancorato al Mediterraneo ne ha una e la possiede il duca, che si permette lo sfizio di spendere soldi per comprare dei libri. Anzi, di più: lo racconta lo stesso Leone. Giovanni, i libri, li fa mettere assieme in una biblioteca; provvede che siano acquistati in tutto il Sud Italia ed oltre, fino a Costantinopoli; che siano copiati e tradotti dal greco al latino – più comprensibile ad un pubblico ampio -; che siano preservati dall’incuria.
I titoli presenti in questa biblioteca colpiscono, per la varietà. Sintomo della curiosità del personaggio che, con sua moglie, la romana Teodora, viene raffigurato come un uomo dedito agli studi, sempre intento a leggere e a discutere di argomenti attinenti la conoscenza e il sapere. Un governante-filosofo dalla fisionomia impareggiabile che stride con l’immagine canonica di un medioevo buio e doloroso, fatto di ferro e di sangue. Uomo che amava leggere certo il vecchio e il nuovo Testamento, ma anche Dionigi o le storie di Livio o quelle di Giuseppe Flavio.
Però fra le opere che Giovanni amò di più ce n’è una che, da sola, riempie di sé tutta la cultura occidentale: il Romanzo d’Alessandro, la storia leggendaria delle guerre e dei viaggi di Alessandro Magno, forse la più grande miniera di meraviglie che il medioevo abbia tramandato. Libro che Giovanni fece portare da Costantinopoli e volle fosse tradotto. E che, da Napoli, spicca il volo e letteralmente esplode in una miriade di versioni, tanto da diventare una delle letture preferite in ogni corte d’Europa .
Tutto questo, grazie ad un solo uomo. A questo Giovanni ormai, oggi, semidimenticato. Invece vorrei immaginarlo, per un solo momento, vivo e non dimenticato. Ora, in un pomeriggio di settembre, arroccato nel suo palazzo sulla collina di san Marcellino. Mentre, fisso con gli occhi sul suo ultimo gioiello, lo sfoglia e pensa a tutte le cose grandi che il grande Alessandro nella sua vita ha fatto e ha visto. Finché lo sguardo gli cade su un particolare Sulla fenice, pronta a rinascere dalle proprie ceneri, persa, su un albero spoglio, “ai confini dell’Oceano, dove sono le porte del Cielo”.