“All’inizio del Novecento, la provincia di Napoli era la terza del Regno per occupazione industriale, in assoluto e in rapporto alla popolazione residente”. Lo ricorda Giorgio Alleva, presidente Istat, che ha svolto un intervento centrale nel convegno che ha salutato i cento anni dell’Unione industriali di Napoli. Ancora più rimarchevoli sono le sue parole quando poco dopo aggiunge che “la specializzazione dell’industria partenopea era legata a produzioni che erano considerate moderne, quali la metallurgia e la metalmeccanica, in un’epoca in cui prevalevano produzioni a carattere artigiano e ad alta intensità di lavoro”. Un esempio fra tutti? Firenze, città che in quei tempi primeggiava per intensità occupazionale nell’industria, ma dove i due terzi degli addetti erano impiegati nella manifattura di trecce e di cappelli di paglia…
L’intervento di Alleva prosegue poi con una disamina storica delle attitudini industriali della città capitale del Sud. Vediamone i passi salienti
- SECONDA GUERRA MONDIALE
Alla vigilia del conflitto la produzione – in particolare quella dell’industria meccanica – appariva già concentrata nelle province del triangolo industriale, di Milano, Torino e Genova. Napoli non esce di scena come protagonista nella manifattura, ma cresce con minore rapidità: gli addetti all’industria in assoluto raddoppiano – da 70mila a circa 140mila – collocandola al terzo posto tra le grandi città italiane per livello di occupazione industriale. Il divario sul piano industriale si allarga ulteriormente negli anni del boom economico: dal dopoguerra, a Napoli, l’occupazione manifatturiera non cresce più e, nel 1961, è un terzo di quella di Torino. La distribuzione degli addetti tra i settori industriali rimane all’incirca la stessa che nel1938.
- MANIFATTURE PARTENOPEE: IL QUADRO ODIERNO
Rispetto alle altre province, Napoli presenta ora una maggiore incidenza delle produzioni alimentari e delle calzature, del cuoio e della pelle.
Permane però una specializzazione nel settore dei mezzi di trasporto che comprende le costruzioni ferroviarie, quelle navali e l’industria aeronautica (lo stabilimento automobilistico di Pomigliano entrerà in produzione solo nel 1972).
Con la crisi del 2008, il sistema delle imprese partenopeo ha subito una profonda trasformazione. Nel 2014, le imprese industriali attive nell’area metropolitana di Napoli erano diminuite del 22% rispetto al 2007 (-3.400) e gli addetti del 23% (-20mila); nel settore delle costruzioni la riduzione degli addetti è stata del 40% (27 mila occupati in meno). In alcuni comparti si è avuto, però, un consolidamento: è questo il caso delle filiere e dei distretti tradizionali dell’agro-industria e del tessile- abbigliamento-pelletteria. Questi ambiti di vocazione storica del territorio partenopeo stanno oggi ritrovando una loro vivacità, soprattutto grazie ad imprenditori che sono riusciti a operare oltre l’ambito locale, competendo sui mercati esteri.
IL BIENNIO 2014-2016.
Tra 2014 e 2016, la crescita dell’export ha messo in luce un rafforzamento della ripresa in diversi comparti. Le esportazioni totali in valore sono cresciute del 4,9%, con un contributo determinante dell’industria alimentare. In crescita, seppure più contenuta, sono state le esportazioni di prodotti farmaceutici e di prodotti in metallo.
Nell’ultimo biennio si è avuto poi un recupero delle esportazioni di prodotti dell’elettronica, in cui Napoli ha espresso storicamente una forte specializzazione, e in quello delle apparecchiature elettriche.
Più irregolare è stato l’andamento dell’export del polo aero-spaziale, che nel 2016 è ammontato comunque a quasi un miliardo di euro, oltre il 17% del valore complessivo delle esportazioni dell’area metropolitana e il 16,1% dell’export italiano di settore. Il distretto aerospaziale, nato nella seconda metà degli anni dieci del Novecento, rappresenta una delle più importanti concentrazioni industriali del Mezzogiorno.
L’INDUSTRIA TURISTICA
Nei servizi si osserva la crescita dell’industria turistica, che ha pienamente recuperato la crisi del biennio 2008-2009, quando le presenze si sono ridotte di oltre il 10% (contro appena il 2% per l’Italia nel suo insieme).
Nel 2015, a Napoli, le presenze, trainate dal forte aumento dei visitatori stranieri, sono state quasi il 12% superiori a quelle del 2007, mentre per l’Italia nel suo complesso erano cresciute di poco più del4%.
Nonostante lo sviluppo dell’ultimo quinquennio, l’industria del turismo rappresenta per Napoli un’opportunità straordinaria. La città intercetta, infatti, soltanto il 3,1% degli arrivi di clienti su base nazionale, e le presenze in rapporto alla popolazione sono ancora ben al di sotto della media italiana: è un paradosso, se si pensa alla attrattività di Napoli in termini di bellezze naturali, archeologiche e urbanistiche. Le risorse del patrimonio culturale rappresentano già oggi una componente essenziale del turismo partenopeo.
LA RISORSA PORTO
Una delle principali risorse economiche e produttive per lo sviluppo del Mezzogiorno è poi il Mediterraneo.Lo scalo di Napoli è una grande risorsa industriale della città: sono circa un migliaio le imprese con attività strettamente afferenti a quelle presenti nel porto e legate alla filiera portuale e alla cantieristica navale. Dopo anni di profonda crisi, nell’ultimo biennio, il porto di Napoli è ripartito, soprattutto grazie al traffico container. Nell’ipotesi di un rilancio della nuova Via della Seta marittima come snodo mediterraneo strategico, il sistema portuale rischia però di essere in ritardo in termini infrastrutturali: tra gli interventi ritenuti necessari vi sono l’adeguamento del pescaggio per poter accogliere il maggior tonnellaggio del trasporto marittimo internazionale, la progettazione di aree di sviluppo espansivo del terminal container, l’integrazione con il trasporto ferroviario e la viabilità di accesso stradale.