Antonio Troise
Sulla carta è solo una questione di decimali. Piccoli scostamenti del deficit. Roba da burocrati che passano giorni e giorni a fare calcoli e previsioni. Nella realtà, invece, l’ennesima lettera di richiamo partita ieri dalla Commissione Europea e arrivata sulla scrivania del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, rappresenta un vero e proprio campanello di allarme. Che potrebbe avere effetti anche per le tasche di contribuenti. E’ da settimane, infatti, che fra Roma e Bruxelles si combatte, senza neanche guardare troppo per il sottile, sui numeri contenuti nella legge di Bilancio. Nel mirino dell’esecutivo comunitario ci sono soprattutto gli impegni assunti dal governo Gentiloni sul fronte del deficit. Numeri che, secondo gli euro burocrati, non tornano per una cifra che potrebbe raggiungere anche i 5 miliardi di euro. Un “buco” che costringerebbe il governo ad una manovra bis e i contribuenti a rimettere mano al portafoglio. Un’ipotesi che il ministro Padoan smentisce categoricamente anche perché è convinto della solidità della manovra e dei suoi effetti sui conti pubblici. Due punti di vista, insomma, diametralmente opposti.
Per il momento la lettera di richiamo dell’Ue non ha effetti pratici. Il verdetto definitivo sui conti italiani del 2018 arriverà solo nel prossimo maggio, a urne ormai chiuse da un pezzo e con il nuovo governo. Nel frattempo ci sarà tutto il tempo per verificare se Padoan ha visto giusto o se dovrà rivedere i suoi conti.
Ma, allora, perché questa fretta da parte dell’Ue? Non sarebbe stato meglio rimandare tutto al nuovo anno? La spiegazione è semplice: l’Italia è tornata ad essere, in qualche maniera, una “sorvegliata speciale” in Europa, soprattutto ora che è nel pieno di una campagna elettorale lunga e dagli esiti incerti. Quanto basta per scatenare gli appetiti dei partiti e far partire l’immancabile assalto alla diligenza della finanziaria. I primi segni ci sono stati già sulle pensioni, con le concessioni dell’esecutivo ai sindacati. “Sconti” che, fanno sapere dal ministero dell’Economia, non minano affatto la Finanziaria. Ma anche sulle banche e sulle agevolazioni fiscali promesse dal governo, l’esecutivo comunitario avanza qualche dubbio. Per non parlare poi della raffica di emendamenti, a suon di bonus, che rischiano di far lievitare il capitolo della spesa pubblica.
Sono proprio queste le preoccupazioni all’origine della missiva arrivata da Bruxelles. Timori che, per la verità, si allungano fino al dopo elezioni, con tutte le incognite legata alla reale possibilità di avere un governo stabile e, soprattutto, con la voglia di continuare a fare le riforme che servono per il Paese. Ancora una volta l’Italia rischia di pagare a caro prezzo il suo “spread politico”. Un’incertezza che potrebbe trasformarsi, nel prossimo anno, in un nuovo “salasso” per i contribuenti.