Se vogliono crescere in maniera significativa, recuperando una parte del divario del Mezzogiorno, Puglia e Campania possono giocare la carta dell’integrazione fra i settori produttivi trainanti. Devono cioè cominciare a pensare alla maniera di una macroarea che pone al centro l’obiettivo della coesione e manda in soffitta i campanilismi. Ne è convinto Massimo Deandreis, direttore generale di Srm, centro studi collegato al Gruppo Intesa San Paolo, che ha pubblicato a fine dicembre 2017 il rapporto annuale sull’economia del Mezzogiorno in collaborazione con Confindustria. Per Deandreis, che è anche presidente dell’Associazione italiana economisti d’impresa, Puglia e Campania sono il motore dell’economia meridionale non solo in prospettiva, e cioè come porte verso i mercati dell’Est (area adriatica) e dell’Ovest (versante tirrenico). Viceversa già oggi esse producono, avverte Deandreis, “165 miliardi di Pil, un valore ben superiore a quello di interi Stati dell’Unione Europea come Ungheria o Romania”. E la crescita del Pil è un fenomeno che rientra in una tendenza che mostra consistenza e continuità. In particolare in Campania, che si sta dimostrando “la vera locomotiva del Mezzogiorno”, come dimostra il dato del 2016 (oltre il 3%) e il probabile +1,9% che si registrerà a consuntivo del 2017
In un articolo pubblicato il 6 gennaio 2018 sul Sole 24 ore (pagine 1-8), Deandreis fa riferimento a una recente ricerca realizzata da Srm in collaborazione con la Fondazione Matching Energies, presentata in occasione dell’ultimo appuntamento del ciclo Casa Corriere (14 dicembre 2017), alla presenza del ministro per la Coesione territoriale Claudio De Vincenti e del presidente della Fondazione Matching Energies Marco Zigon.
Lo studio ha messo in risalto che tra Campania e Puglia esistono forti complementarietà dei rispettivi tessuti produttivi. “Se osserviamo – spiega Deandreis – indicatori quali il valore aggiunto, l’export, il numero di imprese e il numero di addetti nei settori manifatturieri più importanti di queste due regioni (automotive, aeronautico, abbigliamento, agroalimentare e farmaceutico) vediamo che entrambe le regioni hanno tassi ben superiori alla media nazionale a dimostrazione della comune specializzazione produttiva”.
Secondo il direttore di Srm c’è poi un altro dato che si mostra più interessante. Riguarda l’interconnessione tra le filiere competitive, nelle due regioni, per valore aggiunto e innovazione tecnologica. Deandreis fa l’esempio delle supply chain del settore aeronautico e farmaceutico, concreta dimostrazione che l’integrazione sinergica tra comparti produttivi è una realtà. E i numeri lo dimostrano:
- Oltre il 16% della produzione campana nel settore aeronautico e il 18% di quella nel settore farmaceutico è venduta in Puglia.
- Oltre il 33% di quanto prodotto in Puglia nel settore aeronautico e oltre il 28% di quanto prodotto nel settore farmaceutico è venduto ad aziende campane.
Tassi simili, continua Deandreis nella sua disamina, li troviamo anche per il settore dell’automotive, dell’agroalimentare e dell’abbigliamento, ne consegue che “i due tessuti produttivi di Campania e Puglia, oltre a essere simili, sono fortemente integrati nelle catene della subfornitura”.
A questo punto la domanda è d’obbligo. C’è possibilità di consolidare ed espandere questa connessione virtuosa stringendo altri fili della rete? La risposta di Deandreis è precisa e circostanziata. La favorevole tendenza alla integrazione, che si esprime spontaneamente nelle dinamiche di mercato, non è preceduta né accompagnata in modo sistematico da scelte coordinate tra le amministrazioni regionali, le quali sembrano lanciate in un antagonismo competitivo molto spinto, invece di individuare missioni distinte e percorsi complementari nell’interesse del Mezzogiorno tutto e del sistema Paese. Le stesse forze produttive rispondono per lo più a logiche locali e non di area, come se la dorsale degli Appennini fosse ancora una barriera insormontabile come in un’epoca in cui non esistevano altre forme di comunicazione che quelle fisiche.
Per Deandreis non si realizzerà una seria prospettiva di crescita duratura senza una maggiore integrazione. E questo obiettivo non è conseguibile senza incisive scelte e strategie infrastrutturali e logistiche. L’economista confida sull’alta velocità/alta capacità Napoli-Bari, in fase di progettazione e realizzazione, per cambiare il rapporto tra Napoli e Bari. E afferma che solo collegando i porti del Sud adriatico e Sud tirrenico tra loro e con le rispettive dorsali verso Nord “si può… fare del Sud Italia una vera piattaforma logistica di cui tanto si parla”.
E conclude: “non è utopia e non richiede riforme costituzionali pensare che Regioni e forze produttive discutano e attuino politiche concordate e sinergiche (pensiamo ad esempio alla programmazione dei fondi strutturali) favorendo così una forte accelerazione della crescita e dello sviluppo. Per dare slancio e sostenibilità alla crescita c’è bisogno di meno campanili e più coesione”.