L’episodio più tragico si svolse nel Sannio beneventano. All’uccisione di due soldati italiani in combattimento a Pontelandolfo segui il massacro a Casalduni di altri quaranta, che si erano arresi. La rappresaglia dell’esercito italiano fu terribile, come la cronaca apparsa il 18 agosto 1861 sulla «Gazzetta di Torino».
«Ponte Landolfo e Casalduni non esistono più; le fiamme han divorato le case; le armi hanno raggiunto coloro che non si erano dati alla fuga. Le ombre dei soldati italiani saranno placate. Il terrore invase le valli e si diffuse sino alle porte di Napoli. “Esempio spaventevole, ma giusto, ma necessario”.
Già allora, nel novembre ’61, in un discorso alla Camera, il democratico Ferrari parlò di «guerra civile». Di certo si sa che i morti di queste battaglie, intense soprattutto dal 1861 al 1865, furono più numerosi che nelle guerre per l’indipendenza. Il generale Cialdini, con rappresaglie durissime, riuscì a mantenere il controllo del territorio, impedendo ai rivoltosi e ai briganti di occupare interi paesi. Quindi nell’estate ’62, in occasione dell’impresa
garibaldina bloccata in Aspromonte, fù decretato lo stato d’assedio nel Sud e furono assegnati i pieni poteri al generale Alfonso La Marmora, nominato prefetto di Napoli e comandante del VI corpo d’armata. Stato d’assedio e legislazione eccezionale per la repressione del brigantaggio, introdotta con la legge Pica dell’agosto 1863, caratterizzeranno la militarizzazione del Mezzogiorno continentale. Insieme a una dura repressione, i tribunali militari garantirono però che briganti e rivoltosi non fossero passati immediatamente per le armi, ma avessero un regolare processo. Le operazioni compiute tra il 1863 e il 1865 da bersaglieri e carabinieri, dalla cavalleria e
dalla guardia nazionale riuscirono a contenere le azioni di briganti e rivoltosi, che continuarono in tono minore fino al 1870
(La questione italiana, Francesco Barbagallo)