Di Amedeo Feniello
Quella sera nessuno si sarebbe aspettato il miracolo. Ne avevamo viste troppe in quello sciagurato 1981. Un anno vissuto tremando, come se l’onda d’urto del terremoto del 23 novembre ci avesse piegato le gambe. L’anno delle case cadute, dei puntelli d’acciaio, delle crepe in ogni dove, che diventavano le crepe del nostro quotidiano che faceva fatica a riprendersi. Come se la città fosse stata colpita da un maglio gigantesco, che però non riguardava solo gli edifici, i ponti, le strade, ma quella che potremmo definire, senza tema di smentite, la nostra coscienza collettiva. Tutto questo poteva sfuggire a chi, come me, in quell’anno aveva diciotto anni e una maturità da compiere, nell’unica scuola di Napoli che aveva resistito, quasi indenne, al sisma. E che, per questo, con nostro grande rammarico, riprese subito a funzionare… No, non erano gli occhi dei diciottenni a poter raccontare quanto grande fosse stato il danno, con le sue scie di guerre di camorra, di centinaia di morti ammazzati, di esodi da un parte all’altra della città. Di distruzioni, che demolivano tessuti connettivi, reti di relazione e quella tanto vituperata società del vicolo, croce e delizia, per secoli, della nostra città.
Ci volevano altri occhi. Quelli degli adulti, abituati a ben altre sciagure, e che accettavano con rassegnazione quanto era avvenuto. Ma riponendo poche speranze nel futuro, perché i soldi sarebbero arrivati. E con i soldi, gli interessi, i circoli viziosi, le carte sporche. Oppure di altre anime. Profonde, sincere. Quelle degli artisti, soprattutto musicali, che in quell’anno, si profusero nella creazione di decine e decine di band che suonavano in cantine che a dire pidocchiose era poco. Ma comunque questo era il loro modo di rispondere alla guerra con una guerra, sottile e frastornante, fatta di note, ritmi, musica, contaminazioni. Andava bene, ma era ancora troppo poco.
Fino al miracolo. Il 19 settembre. Senza grande pubblicità e grazie ad un formidabile tam tam, c’è un musicista napoletano che con la sua band vuole cantare Napoli, a piazza Plebiscito, allora non una piazza ma un caotico parcheggio. Peggio: una gigantesca fermata di autobus. Il musicista è Pino Daniele. Con lui tutti gli altri che amavamo quanto lui, soprattutto James Senese l’americano di Secondigliano, il sax e la voce di Napoli centrale; e Toni Esposito, l’uomo che faceva vibrare, con tutto il sound possibile, qualunque oggetto toccasse..
Il tam tam funzionò. Ci andammo tutti, direi anche i ciechi e gli storpi. Non so quanti eravamo: centomila, duecentomila, trecentomila? Boh. Quello che è certo tutta l’anima della città era lì, sospesa a quel palco. Naturalmente sospesa. Senza differenze, tutti insieme, Nella più estrema tranquillità. Fu una vera festa collettiva. Grandiosa, che ancora oggi ogni tanto ricordiamo, come i gol di Maradona, come le battute di Totò.
Un fatto è certo: il miracolo ci fu davvero. Il sangue si sciolse. Di tutti quanti. Perché quella sera Napoli, dopo quasi un anno di silenzio, aveva ricominciato a cantare.